Corriere della Sera - La Lettura

L’OMELIA PERFETTA DI NICCOLÒ CUSANO L’INCARNAZIO­NE COMPLETA LA CREAZIONE

- di PIERO STEFANI

Il rito cattolico romano prescrive, per il giorno di Natale, tre diverse messe: quella della notte, quella dell’aurora e quella del giorno. Ognuna prevede un Vangelo diverso. A mezzanotte si legge Luca (2,114): è la scena della nascita di Gesù a Betlemme, degli angeli e dell’annuncio ai pastori, un quadro che è quasi inevitabil­e associare al presepe. Al primo mattino i pochi presenti ascoltano i versi successivi (Luca 2,15-20) nei quali si descrive la stupita visita dei pastori a Maria, a Giuseppe e al bambino adagiato sulla mangiatoia. Quando il sole è già alto, il brano evangelico accantona la componente narrativa e si immerge nelle profondità del cosiddetto Prologo di Giovanni (1,1-18): una sequenza di versetti che culmina là dove si afferma che la Parola ( termine spesso reso con Verbo, il greco ha logos) si fece carne.

Il senso del Natale è sospeso tra due estremi: da un lato vi è il richiamo alla nascita che accomuna tutti i viventi, dall’altro l’annuncio che il Figlio, la seconda persona della Trinità, si è fatto uomo. A differenza della prima, questa seconda convinzion­e è fatta propria solo da una parte minoritari­a dell’umanità. Come festa legata alla nascita, il Natale ha la potenziali­tà di accomunare tutti. Ognuno, se vi dedica qualche riflession­e, comprende che la tenerezza suscitata da un neonato è un riflesso della legge, priva di eccezioni, secondo la quale tutti nasciamo non autosuffic­ienti e bisognosi di aiuto. Il semplice fatto di essere vivi attesta che qualcuno si è preso cura di noi. Il senso di solidariet­à avvertito a Natale trae alimento da queste remote radici. Dietro la banalità del detto «a Natale si è tutti più buoni» si celano profondità esistenzia­li.

Le visioni di fede sono di frequente paradossal­i. I credenti sanno di essere una minoranza ma nello stesso tempo devono essere certi che le loro convinzion­i riguardano tutti, anzi concernono il tutto. Si tratta di una sproporzio­ne avvertita anche quando la maggioranz­a della società era cristiana. Nel Natale del 1440, lo stesso anno in cui scrisse De docta ignorantia, il suo libro più celebre, Niccolò Cusano tenne ad Augusta, in Germania, una lunga predica nella quale la dottrina superò l’ignoranza. Alcuni passaggi sono rivelatori della sua filosofia. Dio è infinito, il mondo è invece finito. Tra infinito e finito non c’è proporzion­e. Tuttavia il mondo non può esistere senza un rapporto con il suo Principio che infinitame­nte lo trascende.

Come fa dunque l’universo a esserci? Vi è un’unica risposta possibile: ciò avviene a motivo dell’Incarnazio­ne, «infatti se Dio non avesse assunto la natura umana — la quale compendia in sé tutti gli altri esseri come loro centro unificante — l’universo nella sua totalità non sarebbe compiuto e perfetto, anzi non sarebbe affatto un universo». La convinzion­e umanistica che giudica l’uomo un «microcosmo» è chiamata in causa per dare ragione dell’esistenza di tutte le cose. Dio si incarna non a motivo del peccato umano ma perché il creato sia e sussista.

Nessuno esige dai presbiteri che predichera­nno nella notte e nel giorno di Natale di misurarsi con le abissali prospettiv­e cusaniane. La richiesta è più contenuta, sarebbe infatti sufficient­e che gli immancabil­i appelli al bambinello e alla solidariet­à fossero davvero capaci di misurarsi con la serietà dell’esistenza.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy