Corriere della Sera - La Lettura
L’hombre dei murales in forma di fumetto
Andrea Voglino e Luca Bertelè firmano una graphic novel biografica di Diego Rivera, artista simbolo di una nazione e compagno di Frida Kahlo. Fu legatissimo a lei ma incapace di adattarsi alla monogamia, comunista ma perfettamente a suo agio nelle convenzioni borghesi, teso al lavoro di squadra ma insofferente alle regole: una figura contraddittoria
Diego Rivera non voleva essere seppellito in pompa magna. Nelle sue ultime volontà, aveva lasciato chiare indicazioni: niente esequie pubbliche, cremazione, riposo eterno accanto alla sua amata Frida Kahlo, nella Casa Azul di Coyoacán in cui lei era nata e che lui aveva voluto trasformare in museo. Ma Rivera non è stato accontentato. Quando morì, il 24 novembre 1957, il suo corpo venne portato a Città del Messico, avvolto nella bandiera tricolore ed esposto in una camera ardente allestita nel Palacio de Bellas Artes, non lontano dai murales che lui stesso aveva realizzato. Dopo l’omaggio della cittadinanza, che accorse in massa, il suo corpo venne tumulato là dove riposano i grandi messicani, nella Rotonda de las Personas Ilustres.
Del resto, illustre lo era eccome. E lo sapeva. Pittore, maestro dell’arte murale, fine conoscitore della cultura messicana, instancabile promotore dello studio delle civiltà precolombiane, intellettuale di spessore internazionale: Rivera era tutte queste cose, e molte altre ancora. Per questo lo scrittore di fumetti Andrea Voglino lo chiama, citando Walt Whitman,
hombre enorme, cioè «difficile da afferrare e più grande della vita». Insieme al disegnatore Luca Bertelè, Voglino ha realizzato Diego Rivera. L’arte, l’amore, la furia, la prima biografia a fumetti dell’artista messicano, edita da Centauria. «Il Messico raffigurato da Rivera tra disegni, dipinti e affreschi è una storia che ne contiene molte altre», si legge in una delle primissime pagine della graphic novel. E, leggendola, si scopre che vale lo stesso anche per la parabola esistenziale e artistica del suo protagonista: la vita di Rivera compendia, al proprio interno, tanti capitoli della storia messicana, e Voglino e Bertelè li valorizzano tutti.
Il fumetto ripercorre per intero l’esistenza dell’hombre enorme, dalla nascita, 1886, fino al funerale solenne che aveva detto di non desiderare. Nel mezzo, gli anni della formazione, i viaggi in Europa (compreso uno, di 18 mesi, in Italia, alla scoperta dei grandi pittori del Medioevo e del Rinascimento), la passione politica, le relazioni e, naturalmente, l’arte. Il tutto senza mai glissare sulle sue contraddizioni. «Diego — assicura Voglino — ne era pieno: amante focoso, ma refrattario alla monogamia; comunista duro e puro, ma perfettamente a suo agio con le convenzioni borghesi; cultore del “gioco di squadra” ma allergico alle regole».
L’impianto narrativo della graphic novel è frutto di una riflessione sullo stile di Rivera, che per tutta la vita ha riversato nelle sue opere un profondo senso della storia. Nei murales, prima di tutto. Voglino cita la monumentale Epopeya del pueblo mexicano — realizzata tra 1929 e 1935 sulla scalinata del Palazzo Nazionale di Città del Messico — come fonte di ispirazione per la sceneggiatura del fumetto. Rivera, spiega, «nasce alla fine dell’Ottocento e vive fino alla metà del Novecento: un periodo davvero epocale in ambito artistico, storico e culturale. Da qui l’idea di una narrazione in grado di abbracciare in un unico colpo d’occhio l’uomo, la sua arte, la sua terra e tutto il resto». Per il disegnatore, ammette Voglino, dare forma a questa ambiziosa visione è stato «un vero tour de force». Ma il risultato è un fumetto stratificato, capace di mettere a fuoco, contemporaneamente, tanto Rivera quanto l’epoca storico-culturale che ha attraversato (e segnato). L’uomo resta in primo piano, ma sullo sfondo, ben visibile, c’è il suo mondo, e lettori e lettrici possono esplorarlo attraverso le digressioni sulla storia, le tradizioni e la cultura del Messico di cui il fumetto è punteggiato.
Voglino e Bertelè, però, non hanno realizzato il capitolo dedicato a Rivera di un libro illustrato di storia messicana. Né, tantomeno, un’apologia grafica dell’artista. La loro è un’autentica biografia di Rivera. A fumetti, certo, e non per modo di dire: tutto, nella componente visiva di questo volume, concorre a restituire un’immagine completa del suo protagonista. Compresi i colori. «In omaggio alle radici di Diego, con la colorista Manuela Nerolini abbiamo scelto di associare alle diverse fasi della sua vita i colori del mais e dei punti cardinali secondo la cosmologia Maya», spiega Voglino. Sfogliando la biografia, si attraversa il vissuto di Rivera passando da una palette all’altra: ogni periodo ha la sua tinta dominante, come se la vita dell’artista, in ogni sua fase, fosse stata illuminata da una diversa lampadina colorata. La tavolozza della graphic novel contempla bianco, rosso, giallo, nero e infine verde, «il colore del mais di Oaxaca associato al centro dell’universo», come spiega a «la Lettura» lo sceneggiatore.
Nelle pagine finali, quelle dedicate al crepuscolo di Rivera, un guizzo cromatico serve a fare da ponte ideale tra lui e la donna della sua vita. Sulle tavole conclusive aleggia un alone verdastro, ma in una vignetta compare una macchia di rosso vivace: le «fette d’anguria» ritratte da Rivera nell’ultima tela che riuscì a completare prima di spirare. Un omaggio alla natura morta che Frida Kahlo aveva disegnato nel luglio del 1954, otto giorni prima di morire. Titolo: Viva la vida.
Rivera e Kahlo si erano conosciuti nei primi anni Venti. Nel 1929 sono diventati marito e moglie, nel 1939 hanno divorziato, nel 1940 si sono risposati. Storia d’amore e sodalizio artistico, nel loro caso, sono indistinguibili, perché per quasi trent’anni Diego e Frida si sono amati, traditi, riappacificati, il tutto senza mai smettere di ispirarsi a vicenda. La graphic novel riesce a restituire tutta la complessità del loro legame, ma lascia aperto un quesito. Oggi come oggi, Kahlo è un’icona pop: vola così in alto da fare ombra persino a un hombre enorme. Merito, in parte, di un film biografico uscito nel 2002 (Frida di Julie Taymor, con Salma Hayek e Alfred Molina) ma anche della quarta ondata femminista, che sembra averla scelta come nume tutelare e ha trasformato il suo volto in un simbolo ormai ubiquo. Come avrebbe reagito Rivera di fronte alla fama planetaria conquistata dalla sua amata? «Ne sarebbe felicissimo, perché la Kahlo era davvero la sua metà — risponde Voglino — ma non senza una punta di sofferenza. C’è chi si chiede se dietro il divorzio del 1939 tra i due non ci fosse anche un’inconsapevole invidia del nostro per i successi di Frida. Non dimentichiamo che tra i regali del Messico al mondo c’è anche il machismo».