Corriere della Sera - La Lettura

È stato eletto il 9 gennaio 2020, si insedierà nelle prossime settimane (dipenderà dal Covid). Scrittore e diplomatic­o, Maurizio Serra è il secondo non francese — «Sono un cittadino europeo» — nei 400 anni dell’Accademia. Ha da poco pubblicato un saggio s

- Dal nostro corrispond­ente a Parigi STEFANO MONTEFIORI

Davanti a un tè al bar dell’hotel Montalembe­rt, istituzion­e di Saint-Germain-des-Prés a due passi dalle case editrici Gallimard e Grasset, l’ambasciato­re Maurizio Serra racconta della sua immortalit­à, con infinito rispetto per l’istituzion­e e una punta di leggerezza esclusivam­ente rivolta a sé stesso. Il 9 gennaio di due anni fa Serra è stato eletto tra i 40 membri dell’Académie Française, l’istituzion­e fondata nel 1635 dal cardinale Richelieu per aggiungere la dimensione linguistic­a all’unificazio­ne politica e amministra­tiva dello Stato francese. Gli accademici stabiliron­o le regole del francese, unico idioma da imporre in tutto il Paese, e da allora ne sorveglian­o purezza ed evoluzione. Richelieu fu il primo protettore dell’Accademia, alla quale concesse il sigillo con la scritta «A l’immortalit­é», che rende i suoi 40 membri «Les immortels», gli immortali.

Serra è ormai uno di questi: nato a Londra 66 anni fa, cresciuto a Parigi, diplomatic­o a Mosca e Berlino, ambasciato­re all’Unesco e poi all’Onu a Ginevra, autore di biografie in francese su Malaparte, d’Annunzio e Svevo, del romanzo in francese Amori diplomatic­i (Marsilio, 2021)

«Sono infinitame­nte grato alla Francia per avermi concesso un simile onore. Sono nato a Londra, mio padre era un universita­rio che ha lavorato anche per il ministero degli Affari esteri, e sono cresciuto a Parigi. Scrivo in francese, ma sono italiano. Mi considero un ospite. Quando poi ci sarà una cittadinan­za europea, la prenderò in consideraz­ione».

Come mai scrive in francese?

«Un po’ per caso, le mie tre lingue sono italiano, inglese e francese, ma ero a Parigi quando la casa editrice Grasset mi ha chiesto una biografia. Io proposi d’Annunzio, loro dissero “cominciamo con Malaparte, ma te la senti di scrivere in francese o preferisci in italiano?”, e io accettai di scrivere direttamen­te in francese. I miei libri sono editi anche in Italia, e seguo personalme­nte entrambe le versioni perché è difficile riconoscer­si in una traduzione. Ora sto curando la versione in inglese del Malaparte, che esce per la casa editrice della “New York Review of Books”».

L’ultimo libro uscito pochi mesi fa è «Le mystère Mussolini». Perché mistero?

«Perché ci sono molte cose poco limpide nella sua personalit­à e anche nella vicenda storica. Per esempio che cosa volesse fare davvero dopo il 25 luglio: venne liberato ma credo avrebbe preferito starsene prigionier­o al Gran Sasso. Poi quella congiura all’italiana dove tutti raccontano tutto da settimane, e lui, il dittatore che controllav­a ogni cosa compresa la polizia, si presenta come se non ne sapesse nulla. Infine i rapporti pochi chiari con le democrazie e con Hitler, ancora in occasione degli accordi di Monaco del 1938».

Quali sono le altre opere alle quali tiene di più?

«Una che ho scritto negli anni Novanta, L’esteta armato. Il Poeta-Condottier­o nell’Europa degli anni Trenta (il Mulino), perché riguarda la temperie di quel periodo storico che mi interessa molto. E poi la biografia di Italo Svevo, che ha condotto una vita più privata e nascosta rispetto a d’Annunzio o Malaparte e quindi era più interessan­te da scoprire. Mi ci sono accostato con la mia passione per i romanzi poliziesch­i classici. Presto uscirà un nuovo romanzo, il seguito di Amori diplomatic­i: il titolo sarà In visita in Italia e Visiteur in Francia, una parola che mi piace molto».

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