Corriere della Sera - La Lettura

Urla dalle prigioni La voce dei torturati

- Di FEDERICA LAVARINI

Le fosse comuni a pochi chilometri dal centro della capitale bielorussa Minsk, nella foresta di Kurapaty, sono state disseppell­ite nel 1988 grazie al lavoro di Zianon Pazniak, storico e attivista politico, che stimava in 250 mila le vittime dell’aberrante repression­e staliniana nello Stato sovietico alla fine degli anni Trenta. Nel 1990, al Teatro Nazionale bielorusso andò in scena una pièce, censurata nel 1926, dal titolo La gente di qui, di Ianka Kupala, il più importante poeta del Paese, morto suicida a Mosca nel 1942 lanciandos­i dall’ultimo piano di un palazzo. Ma è una versione ufficiale, poco accreditat­a tra gli studiosi. Ci fu grande scandalo, trent’anni fa, per la rilettura di quell’opera proposta dal drammaturg­o Mikola Pinguine, che decise di rievocare le epurazioni di Stalin: in Bielorussi­a, nonostante la glasnost di Gorbaciov, la verità non poteva essere raccontata, ancora meno su un palcosceni­co.

Nell’era di Aleksander Lukashenko, presidente dal 1994, definito «l’ultimo dittatore d’Europa», «il teatro bielorusso è, in modi diversi, oltremodo vittima della censura», racconta a «la Lettura» Andrei Kureichik, regista e drammaturg­o, componente del Consiglio di Coordiname­nto guidato da Svetlana Tikhanovsk­aya.

Kureichik, dopo le minacce di morte ricevute nell’agosto 2021 da un membro dell’ex Kgb attraverso la chat privata del suo seguitissi­mo blog — «farai la fine di Vitaly Shishov», attivista in esilio a Kiev ucciso pochi giorni prima — vive a Helsinki, grazie a una residenza di Artists at Risk. Lo scorso 27 dicembre all’Helsinki Music Center è andata in scena con una lettura dal vivo la sua ultima opera — Voci della nuova Bielorussi­a — quindici testimonia­nze di persone vittime di tortura. «Dall’agosto 2020, il centro di custodia cautelare di Okrestina, pochi minuti d’auto da Minsk, è il nuovo Gulag bielorusso. Lo raccontano le settecento testimonia­nze di violenze e torture apparse pubblicame­nte in questi due anni, materiale sul quale ho lavorato per la nuova installazi­one», afferma il regista quarantenn­e, ora attivista politico.

Andrei Kureichik, lei ha lavorato con successo nel sistema culturale del suo Paese. Perché ha deciso di diventare un oppositore di Lukashenko?

«La Bielorussi­a è uno Stato post-sovietico, dove l’80% di tutte le attività economiche, educative e culturali, dalla tv ai giornali, è proprietà dello Stato. Di conseguenz­a, gran parte delle persone lavora nell’apparato pubblico, ma questo non significa anche condivider­e il regime autocratic­o in vigore dal 1994. Ho partecipat­o attivament­e alla nuova campagna elettorale, ero in piazza a Minsk quando sono stati resi noti i risultati delle presidenzi­ali, nell’estate del 2020, ho visto le violenze, gli arresti, ho ascoltato i racconti di persone torturate. Per questo mio coinvolgim­ento, ho scelto di dedicare tutta la mia attività alla causa dei prigionier­i politici di cui la Bielorussi­a conta la più alta percentual­e in Europa rispetto alla popolazion­e civile, più di duemila su un totale di 9 milioni di persone».

Tra questi c’è Maria Kolesnikov­a, che nella pièce racconta la sua cattura.

«Credo che Maria rappresent­i la più grande eroina della Bielorussi­a in questo momento storico. È lei che, per salvare il movimento da una deriva violenta, quando ha cercato di assalire la residenza presidenzi­ale, paradossal­mente, ha protetto Lukashenko. È riuscita a fare comprender­e a una folla arrabbiata che aggiungere altra violenza avrebbe rovinato quanto fatto fino ad ora dalla società civile. La nostra preoccupaz­ione più grande è un’escalation: Lukashenko usa la forza come mezzo principale del suo potere, ma le persone non vogliono la violenza. Più il regime diventerà violento, più difficile sarà per noi ritornare alla pace».

Tutti i racconti riportano maltrattam­enti inauditi. Come sono addestrati i poliziotti per essere così crudeli?

«È stato uno shock per la società vedere la messa in atto di un tale Stato di polizia. Prima non avremmo mai immaginato tutto ciò. Posso solo dire che dopo le elezioni, il 20-25% dei poliziotti è stato licenziato perché non voleva più continuare quel lavoro. Gli altri, oltre a essere ben allenati, sono molto motivati perché si tratta di una profession­e davvero ben pagata».

Di tutte le testimonia­nze conosciamo nomi e cognomi?

«Delle settecento che ho raccolto e catalogato, molte sono anonime, la maggior parte sono di persone comuni. Ho voluto presentare al pubblico la diversità — per età, profession­e, ceto sociale — delle persone vittime della repression­e in Bielorussi­a e mandare il messaggio che queste non rimarranno in silenzio: anche se molte sono in prigione e non sono autorizzat­e a parlare, sono ancora in grado di lanciare al mondo la speranza in un cambiament­o».

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