Corriere della Sera - La Lettura
PLATONE SBAGLIAVA SULLE EMOZIONI
Di fronte a una prova sbagliata, allo studente è rimproverato di farsi prendere dall’emozione. Come se l’emozione fosse un ostacolo, una reazione avversa che impedisce il buon esito di un’interrogazione. È il pregiudizio storico che le emozioni si portano dietro fin dalle origini. Quasi una debolezza di cui vergognarsi, perché proveniente dalla parte animalesca di sé.
Umberto Galimberti in Il libro delle emozioni (Feltrinelli, pagine 160, € 17) ci ricorda il mito platonico dell’auriga (la ragione), alla guida di un carro volto al cielo, dove stanno le idee. Il carro è trainato da un cavallo bianco (l’anima irascibile) e da uno nero (l’anima concupiscente); quando il cavallo nero sbanda, cioè quando la ragione si lascia trascinare dalle passioni, è la rovina.
Non c’è da stupirsi che il pensiero moderno, a cominciare da Kant, abbia fondato una morale che esclude le emozioni, in quanto causa di comportamenti irrazionali. Da allora le emozioni sono state represse per la loro inaffidabilità nei rapporti produttivi, legali e commerciali.
Eppure le emozioni sono utili. Anzi, necessarie, perché — afferma Daniel Goleman (Intelligenza emotiva, Rizzoli, 2011) — «le emozioni ci hanno guidato con saggezza nel lungo cammino dell’evoluzione». E Martha Nussbaum (L’intelligenza delle emozioni, il Mulino, 2004) ha dimostrato che sono uno strumento di conoscenza. Da parte sua Galimberti ne riconosce la funzione sociale, perché capaci di mettere in relazione le persone. Perciò la scuola dovrebbe curare anche l’intelligenza emotiva.
Oggi si assiste a un recupero delle emozioni: guadagnano terreno in politica e trionfano nei media. Esibire la propria emotività è un modo per realizzarsi, nella falsa convinzione che sia l’unica occasione per esprimere la propria autenticità. Così, con un contrappasso degno di tempi di crisi, è la ragione a essere considerata inaffidabile. Forse perché, malgrado Platone, non c’è un mondo delle idee da raggiungere.