Corriere della Sera - La Lettura
Vola sempre «l’angel» di Franco Loi
Torna l’opera a un anno dalla scomparsa dell’autore
Canti di romanzo: così nel sottotitolo Franco Loi (1930-2021) definisce L’angel quando ne pubblica, da Mondadori nel 1994, l’edizione più ampia, in quattro parti (edizione ora riproposta; solo la prima era già uscita nel
1981). La definizione è illuminante: da un lato c’è un racconto, qualcosa come un romanzo, dall’altro un elemento lirico. L’opera nasce proprio dall’incrocio di queste due componenti.
A parlare e a rammemorare, intervallando il ricordo con ragionamenti e appelli a chi ascolta, è un personaggio, chiaramente autobiografico, che si crede un angelo e che suppone di far memoria di un suo paradiso («Mì,’l Paradis, ghe l’û a tocch in mì», «Io, il Paradiso, ce l’ho a pezzetti in me»). Per questo, per una sorta di mania, è rinchiuso in un ospedale psichiatrico, eppure è lui a conservare una latente pienezza delle funzioni vitali, mentre la società che lo considera pazzo sembra avere smarrito la sua coscienza. È una situazione anche teatrale, che può rimandare alla funzione del fool in Shakespeare. Solo il folle sa dire la verità. Nel personaggio di Loi c’è infatti un’elementare compresenza di stati, euforia e malinconia; di componenti, il corpo e lo spirito; di atteggiamenti, la fiducia e la disperazione.
Certo questo «io» angelico e folle racconta l’infanzia di incantamenti e paure, le melanconie e le speranze della giovinezza, le esperienze e le iniziazioni, la storia (la Milano euforica del dopoguerra, i movimenti della Sinistra negli anni Sessanta e successivi), ma esprime anche il sospetto che ognuna di quelle sequenze nasconda un significato più profondo, un collegamento con la voce di Dio che chiama e richiama l’uomo, intriso di un’antica nostalgia del divino. C’è dunque una vicenda collettiva, di popolo, di classe (che passa per incontri con compagni e maestri), tutta riletta però dal punto di vista interiore di un «io» che cerca la voce che gli detta dentro. Le lingue dialettali di Loi sono più d’una: predomina, certo, un milanese contaminato e inventivo, ma sono usati anche il colornese della madre e il genovese adottato dal padre (sardo di origine) e compare anche un brano in romanesco, insieme a porzioni in italiano. Opera composita, corposa e sovrabbondante, lirica entro un’intelaiatura puntuale e concreta — con i luoghi, le strade, le presenze: specie femminili —, L’angel è e non è un poema politico. È anche altro: memoria del paradiso, ansia di una più piena verità.