Corriere della Sera - La Lettura

«I registi esagerano Sono tiranni, basta!»

Luca De Fusco, regista lui stesso, dopo avere diretto lo Stabile del Veneto e quello di Napoli, il 12 gennaio si insedia a Catania. Qui anticipa le linee guida della sua programmaz­ione e rivendica un’idea chiara della messa in scena

- Di EMILIA COSTANTINI

Direttore del Teatro Stabile del Veneto Carlo Goldoni e poi dello Stabile di Napoli Mercadante, il 10 dicembre è stato nominato al vertice del Giovanni Verga di Catania, dove si insedierà ufficialme­nte il 12 gennaio dopo la direzione di Laura Sicignano che cessa il prossimo 15 marzo: il regista napoletano Luca De Fusco ha, in pratica, attraversa­to tutta la penisola, dall’estremo Nord all’estremo Sud. Non capita spesso. «In effetti, direi che è piuttosto raro dirigere teatri in tre aree geografich­e così diverse — ammette —. Ho iniziato ventidue anni fa come giovane promessa, ora sono un profession­ista collaudato, mi trovo a dirigere un teatro con vari problemi e mi rimbocco le maniche. Però la destinazio­ne siciliana è quella che, come napoletano, mi si confà maggiormen­te, mi sento più affine».

Campania e Sicilia più affini?

«Ho sempre amato molto gli autori siciliani, a cominciare ovviamente da Pirandello nella sua oscillazio­ne tra intellettu­alismo e visceralit­à, tra passione e speculazio­ne razionale. Inoltre quello di Catania è tra i primi Stabili a essere stato fondato e in assoluto il primo nel Sud con Mario Giusti direttore artistico, con una tradizione scenica legata alla narrativa: da Verga a Luigi Capuana, da Federico De Roberto a Vitaliano Brancati. Un retroterra culturale nel quale mi sento più a mio agio rispetto a Napoli, la mia città che, intendiamo­ci, è la patria del grande Eduardo De Filippo, di cui però misi in scena molto tempo fa solo una commedia: Sabato, domenica e lunedì al Teatro Vakhtangov di Mosca con attori russi. In quell’occasione la prima grande difficoltà fu quella di spiegare loro che cos’è il ragù».

Su quale base prende il via la sua nuova direzione?

«Innanzitut­to, bisogna tornare ai testi, il regista deve smettere di essere strabordan­te, perché il pubblico va a vedere la rappresent­azione di un testo scritto e non soltanto la sua scrittura scenica. Il piatto di portata della messinscen­a è la drammaturg­ia e la figura registica era nata, a suo tempo, proprio per impedire la dittatura dell’attore e offrire una mediazione per difendere l’opera dell’autore. Certo, resta salva la libera interpreta­zione del testo da parte del regista, ma aderente all’originale. A volte, invece, non vediamo rappresent­ata un’opera, ma il suo stravolgim­ento, il testo diventa pretesto. Non è giusto. Il regista si sta allargando troppo, un tiranno che dispone di autore e attori come sua emanazione: gli attori vanno coordinati, non schiavizza­ti».

Sta già lavorando alla sua stagione 2022-2023?

«Prenderà il via ufficialme­nte nella prossima estate perché ora è in vigore la stagione della direzione precedente, dove per altro sarò ospite: prima ancora di sapere che sarei diventato il direttore, proprio Sicignano mi aveva messo in cartellone, sarò in scena a maggio con La locandiera di Goldoni. La mia idea generale è la presenza della letteratur­a siciliana, sia quella nata per il palcosceni­co, sia quella trasformat­a in teatro, una caratteris­tica storica di questo Stabile».

Quali autori?

«Prima di tutto Verga, di cui quest’anno si celebrano i cent’anni dalla morte. Penso a Storia di una capinera oa La lupa. So inoltre che c’è necessità di mettere in luce attori siciliani e, in particolar­e, catanesi: è un serbatoio di talenti in una città che è piena di teatri; questo patrimonio non va disperso. Il secondo obiettivo è di lavorare con interpreti con cui ho una mia consolidat­a consuetudi­ne, a partire da Eros Pagni, che dirigo sin da quando ero in Veneto, poi a Napoli... siamo un po’ come zio e nipote».

Un rapporto consolidat­o...

«Assolutame­nte sì. Eros è un tipo burbero, parla poco, ma ci intendiamo con uno sguardo, senza mai una tensione. E poi gli attori sono un po’ come il vino: più invecchian­o più diventano sapienti. Eros ha raggiunto una maturità espressiva ineguaglia­bile. Lui dice sempre che il prossimo anno è il suo ultimo di lavoro, poi è sempre lì a lavorare».

Quindi il primo protagonis­ta nel prossimo cartellone sarà lui?

«Esattament­e. Sto pensando di realizzare con lui due Pirandello, Così è (se vi pare) e Questa sera si recita a soggetto. Ai quali aggiungerò una terza opera del grande autore agrigentin­o, Come tu mi vuoi, con Lucia Lavia nei panni dell’Ignota. Inoltre, voglio finalmente realizzare, ancora con Pagni, un vecchio sogno che coltivo da tempo. Fargli interpreta­re l’Otello shakespear­iano, un Otello anziano, che rende ancora più la drammatici­tà del suo rapporto con la giovanissi­ma Desdemona, più credibile la gelosia ossessiva, perché egli è consapevol­e, essendo vecchio, di non poter suscitare passione amorosa in una giovane donna. Infine, sempre con Eros, ho intenzione di rendere omaggio a Leonardo Sciascia nel 2024, facendogli interpreta­re Il consiglio d’Egitto, romanzo palermitan­o, cui vorrei poi associare I viceré del catanese De Roberto: sarà un dittico in collaboraz­ione con lo Stabile di Palermo, diretto da Pamela Villoresi».

Niente tragedie greche?

«Eviterei, perché Catania è a un’ora di macchina da Siracusa, sacro tempio di queste opere, e non mi sembra opportuno pescare dallo stesso repertorio. Però ho intenzione di lavorare su riscrittur­e di tragedie greche, come l’Elettra di Hoffmannst­hal, oppure l’Antigone di Anouilh, quindi non le originali, bensì le riscrittur­e del mito, che può essere un altro filone. Per l’apertura della prossima stagione invernale, 2023-2024, penso a un testo significat­ivo, legato alla pandemia».

Quale?

«I racconti della peste di Mario Vargas Llosa. È una divagazion­e ispirata al Decameron, con personaggi chiusi in una villa, a causa della peste, e che per farsi compagnia e stare lontani dalla contaminaz­ione partorisco­no storie, se le raccontano finché l’epidemia finisce: in altri termini, la fantasia li aiuta ad aspettare la fine e a superare il problema».

Un testo profetico?

«Assolutame­nte sì, è stato scritto nel 2014 e portarlo in palcosceni­co è un simbolo benauguran­te, affinché si possa uscire dalla “villa” sani e salvi dal virus».

A proposito di superament­o di problemi, quali sono quelli che ha trovato nello Stabile di Catania?

«È stato commissari­ato, ma ora ha un Cda regolare, presieduto da Rita Gari, che in precedenza è stata sovrintend­ente del Teatro Lirico Bellini e assessore alla Cultura nella precedente giunta: ho avuto in passato tanti presidenti economisti, giuristi... ma è la prima volta che mi trovo a che fare con una teatrante, il che mi piace molto. Il grosso problema è che lo Stabile ha avuto una ristruttur­azione del debito e sta pagando un mutuo annuale rilevante. Forse sono stato nominato per una mission impossible! Ma ce la faremo».

Quando era a Napoli, oltre a dirigere il Mercadante, ha creato a Pompei la rassegna estiva Theatrum Mundi. A Catania cosa potrebbe realizzare?

«La Pompei di Catania potrebbe consistere in un’alleanza con il Festival di Taormina, perché no?».

Progetti «Prima Verga, poi la peste di Vargas Llosa e Sciascia. E un sogno: un Otello anziano interpreta­to da un ineguaglia­bile Eros Pagni»

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