Corriere della Sera - La Lettura
LA LENTEZZA DEL SOCIOLOGO
Colpisce la difficoltà dei sociologi di fronte all’ospite inatteso, il Covid-19, che ha stravolto il mondo che conoscevamo. Proprio per la difficoltà di comprendere una società in rapido cambiamento, dove i punti di riferimento mutano così in fretta da non poter essere fissati. Questo perché la sociologia è una scienza lenta. Ha bisogno di tempi lunghi, di analisi sul campo, di confrontarsi su ampi campioni di comportamenti umani e poi trarre indicazioni statistiche, che agli occhi del pubblico appaiono come leggi, indirizzi da seguire o facili conformismi. La sociologia, osservando il presente, permette (o permetteva) di preparare il futuro. Senza indirizzarlo — anche se qualcuno ha provato a farlo, usandola come un corpo contundente — ma offrendo almeno scenari probabili, attorno ai quali ragionare e fare scelte consapevoli.
Sì, la sociologia è una scienza lenta e antiquata. Nata e cresciuta quando ancora gli eventi erano accompagnati da un’ampia disponibilità di spaziotempo per annunciarsi e manifestarsi — tra segnali inequivocabili, tendenze e intuizioni — permetteva agli intellettuali di formulare facili profezie che puntualmente si avveravano. Il futuro era già in nuce e bastava coglierlo.
Oggi non è più così. Non solo l’ordine di grandezza e la frequenza dei flussi innovativi rende impossibile qualsiasi profezia, che sarebbe subito sconfessata da new entry imprevedibili, ma è persino negata la fiducia a quegli intellettuali che contribuivano alla comprensione del cambiamento. Quando la sociologia darà il suo responso sarà troppo tardi e servirà a poco. Archivieremo le analisi di questo tempo con l’inevitabile distacco, conservandole tra le occasioni perdute.