Corriere della Sera - La Lettura
La lunga vita di Dacia Maraini
Un Meridiano ospita testi — esempio per tre generazioni — che misurano un rilievo internazionale non sempre riconosciuto in Italia. Sorride: «Mi sento un po’ postuma»
Dacia Maraini sa prendere anche un Meridiano Mondadori con semplicità. È consapevole che la collana dalla costa blu a righe oro sancisce l’ingresso definitivo nel mondo dei classici, è contenta del riconoscimento, sa che si tratta di un attestato di stima, che sul catalogo non sono molti i nomi femminili, ma a chi le chieda cosa si provi risponde con un sorriso autoironico: «Ci si sente un po’ postumi». Invece le 1.758 pagine che raccolgono una scelta di suoi romanzi e racconti godono di ottima salute e vitalità. E sono un punto di riferimento per tre generazioni di scrittrici (e scrittori), oltre che per una vasta comunità di lettori e studiosi in tutto il mondo. Perché occorre dire che il successo internazionale della Maraini, che l’ha resa l’autrice italiana del secondo Novecento più conosciuta nel mondo, dà la misura di un rilievo che non sempre il nostro Paese — ancora piuttosto misogino — ha voluto riconoscerle.
Il Meridiano è curato da Paolo Di Paolo, scrittore di solido presente e sicuro avvenire, e da Eugenio Murrali, giovane di sterminata cultura, per Dacia quasi un figlio adottivo. Dal romanzo della vita della Maraini, da loro ricostruito, scopriamo che in queste settimane sono in cantiere due libri, e tra i più importanti: Caro Pier Paolo — in uscita a marzo per Neri Pozza —, memoir in cui la scrittrice continua, sotto forma epistolare, il suo dialogo con l’amico e compagno di viaggio Pasolini, e, per Rizzoli, la narrazione più difficile, il libro rimandato da anni, l’esperienza di prigionia nel campo di concentramento in Giappone, con i genitori Topazia e Fosco e le due sorelle Yuki e Toni, durante la Seconda guerra mondiale. Nell’introduzione, Di Paolo mette in rilievo «l’attitudine concreta, il piglio di chi si alza presto al mattino e non può perdere tempo», «un’inesausta capacità di lavoro: un’etica quasi calvinista del fare, senza cedimenti, senza segni di stanchezza». La cronologia che segue è impreziosita da dichiarazioni dell’autrice, frutto del dialogo diretto con i curatori. Queste pagine ci regalano particolari inattesi — non avrei immaginato che Dacia Maraini avesse cantato in una band —, ripercorrono l’infanzia giapponese e poi siciliana, si affacciano con discrezione sulle relazioni importanti della scrittrice, sugli affetti significativi, sui viaggi con Moravia, Pasolini e Maria Callas, sui successi e sugli scontri, anche su quello per una parolaccia rivolta a Giuseppe Berto, che forse se l’era meritata.
Le notizie sui testi di Murrali sono un serbatoio d’informazioni raccolte di prima mano nell’archivio dell’autrice o nate dalla metodica ricerca nei giornali degli ultimi sessant’anni, negli apparati dei testi, nel confronto tra le diverse edizioni, nello studio della bibliografia, nel dialogo con i traduttori o con gli editori. Entrando nel vivo delle opere, ci accolgono i primi due romanzi dell’inizio degli anni Sessanta, La vacanza e L’età del malessere (pubblicato in tredici Paesi nel 1963), legati e come in continuità, sia per il tema del vuoto e del disagio di una ragazza in un mondo chiuso e feroce, sia per l’aggressione dei critici, ben raccontata da Murrali nelle notizie sui testi. Quell’attacco voleva colpire Moravia, ma, con vigliaccheria e con il maschilismo all’epoca ancor più evidente, prese a bersaglio un’autrice esordiente che lui aveva sostenuto, e di cui poi l’autore degli Indifferenti si era innamorato.
Segue uno dei romanzi più sorprendenti, Memorie di una ladra, uscito nel 1972 e diventato nel 1973 un film con Monica Vitti. Per parlare da sola con la vera Teresa — durante l’inchiesta sulle carceri femminili per «Paese Sera» nella quale l’aveva conosciuta era sempre sotto lo sguardo dei direttori —, Dacia decise di travestirsi: indossò una parrucca nera, si truccò in modo da essere irriconoscibile e andò a Rebibbia. Il linguaggio espressivo e pieno di immagini di Teresa colpì anche Pasolini, che chiese all’amica scrittrice di aiutarlo nella stesura della sceneggiatura de Il fiore delle mille e una notte. I due si serrarono parecchi giorni in una casa affittata a Sabaudia. Lavoravano come pazzi: la Maraini si dedicava ai personaggi femminili, all’affascinante Zumurrud, mangiavano di corsa per tornare a scrivere, la sera rileggevano insieme, si confrontavano.
Isolina, del 1985, è quella donna, quell’«impressionante geroglifico» a cui Dacia restituisce identità, come scrisse Rossana Rossanda nella prefazione all’edizione del 1992. Isolina è una ragazza morta dissanguata per un aborto organizzato sul tavolino di un’osteria al fine di cancellare le prove di una relazione scomoda per la carriera del tenente dell’esercito sabaudo Carlo Trivulzio. Rossanda riconosce un carattere peculiare della scrittura di Maraini, che «interroga» la realtà.
Ovviamente al centro del Meridiano è il capolavoro La lunga vita di Marianna Ucrìa, uscito nel 1990, vincitore del Premio Campiello, oltre un milione di copie vendute, vero discrimine nel riconoscimento della grandezza della narratrice. L’ava settecentesca di Dacia, Marianna, muta e costretta a sposare lo zio, l’aveva fissata da un ritratto appeso a una parete di Villa Valguarnera, a Bagheria: uno sguardo difficile da togliersi di dos
so. Nel romanzo, come osserva Di Paolo, «la realtà si rivela per via sensoriale, in una esuberante e vivida materialità», una storia raccontata con la forza dei sensi e che attiva ogni capacità percettiva dei lettori.
Quasi inscindibile dal precedente è il romanzo Bagheria, 1993, finalista al Premio Strega, opera memoriale, storia di un ritorno nel Dopoguerra, storia di un amore intenso di bambina per il padre Fosco, storia di una ricerca delle radici siciliane.
L’introduzione e la cronologia ritessono con grande efficacia le fila mancanti dell’ordito: così si arriva compensando i salti a Il treno dell’ultima notte, 2008, finalista all’International Man Booker Prize. È il libro sulla Shoah che sta scrivendo in Colomba «la donna dai capelli corti», la cui sola fede laica è la scrittura, la stessa fede che, nota Paolo Di Paolo, Dacia Maraini ha rinnovato per sei decenni. La protagonista Amara, alla ricerca di un bambino ebreo, suo amico di infanzia deportato ad Auschwitz, si immerge nel buio dei totalitarismi.
Altro Buio è quello della raccolta di racconti vincitrice del Premio Strega nel 1999, ben rappresentata nel Meridiano da una scelta di testi che testimoniano lo sguardo della scrittrice sugli elementi più fragili della società. Il ritegno con cui Dacia Maraini abita le pieghe intime dei fatti è parte di quella «responsabilità dello stile», giustamente sottolineata negli apparati del volume.
La cronologia si chiude con una bellissima dichiarazione di Dacia sui suoi diari e sulle lettere comparse su «La Stampa». La parola a lei: «I diari non li brucerò, ma ho lasciato scritto che andranno pubblicati vent’anni dopo la mia morte. Le lettere chissà, dovrei rileggerle, ma non so più dove siano finite, ammesso che non siano già state distrutte. Sono sempre stata un’appassionata scrittrice di lettere. Probabilmente dipende dal fatto che da quando sono tornata dal Giappone, adolescente, parlando più giapponese che italiano, ho sofferto di afasia. E questa afasia l’ho vinta piano piano leggendo tantissimi libri in italiano e scrivendo tutti i giorni nella nuova lingua che mi era tornata madre».