Corriere della Sera - La Lettura
La verità, vi prego, su famiglia e scrittura
Debutta nella prosa per adulti premiata autrice per bambini
Suona apparentemente come un ossimoro il titolo del romanzo di Sabrina Giarratana, già poetessa e autrice di libri per bambini, che al convincente esordio narrativo — La parola muta — affida una riflessione metalinguistica e metaletteraria sulle possibilità e sui limiti delle parole, sul silenzio e sul «non detto», spesso altrettanto eloquenti.
Così è anche per la voce narrante di Irene, scrittrice e madre di famiglia dai molti risvolti autobiografici (come la sua protagonista anche lei è di madre olandese, ha perso un fratello e scrive poesie, con le quali si è aggiudicata il Premio Pierluigi Cappello nel 2021), che ammutolisce per il dolore quando il maggiore dei suoi due fratelli, il cinquantatreenne Giovanni, annuncia dal Costa Rica, dove vive da tempo insieme alla moglie Anita, di essere malato di leucemia.
I già fragili equilibri familiari saltano al rientro dell’uomo in Italia dove intende curarsi e la sua sofferenza travolge tutti, riportando a galla ferite e incomprensioni che si credevano sepolte: Giovanni vorrebbe essere al centro dell’attenzione; Francesco, l’altro fratello, è schiacciato fra i doveri di medico, marito e padre; Irene, che vive in campagna con marito e due figli adolescenti, la più giovane e sempre protetta in passato, si sente chiamata al faticoso ruolo di mediatrice.
Come se non bastasse, la loro madre settantacinquenne, un’olandese trasferitasi a poco più di vent’anni in Italia per amore, vittima di un marito brillante professionista fuori, violento e prevarinominare catore fra le mura domestiche, da cui solo tardivamente ha trovato la forza di separarsi, mal sopporta la ritrovata convivenza con il figlio maggiore.
Figura enigmatica e apparentemente poco affettiva, alla prole non ha mai insegnato la sua lingua d’origine, ostacolata dal marito e forse anche gelosa di uno spazio esclusivamente suo: solo le fughe nei Paesi Bassi, dove ritrova sé stessa e torna con un sorriso nuovo seppur pronto a spegnersi in breve tempo, offrono un po’ di tregua a tutti quanti. E Irene perde le parole, non le trova per aiutare il fratello malato, non riesce più a scrivere una riga, dubita della bontà di quello che ha pubblicato fino a quel momento, rinuncia perfino agli incontri con i lettori e torna al silenzio del grembo materno, prima che la nascita imponesse di il mondo per definirlo.
Mentre si dipana una storia di rapporti familiari complicati e sofferti, di imposizioni e tentativi di fuga, di ribellioni e separazioni, in cui la ricerca di un altrove appare l’unica possibilità per ritrovare sé stessi, la parola diventa protagonista, scandagliata attraverso le riflessioni di Irene nei suoi recessi assume ruolo e consistenza, scandita ritmicamente da uno stile piano ma mai banale: strumento demiurgico irrinunciabile per una comprensione profonda del mondo, si fa mattone per costruire case destinate ad accogliere o all’opposto muri per dividere e declinata in poesia diventa una preghiera, che a forza di crederci e recitarla finisce per far accadere le cose. E ancora una volta, è solo grazie ad un uso nuovo delle parole che Irene trova la strada per andare avanti.