Corriere della Sera - La Lettura
C’è Camilleri nascosto in ogni racconto
L’antologia gialla Sellerio è ormai una tradizione come «La Settimana Enigmistica» (diffidate delle imitazioni). E questa volta (Una settimana in giallo ,il titolo) è enigmistica davvero perché ogni autore ha nascosto nel suo racconto una citazione di Andrea Camilleri in ricordo del Professore, che tanto ha significato per la casa editrice e per alcuni suoi scrittori (Manzini, per esempio, è stato per Camilleri qualcosa di assai vicino a un figlio). Personalmente leggo l’antologia per godere della conversazione (sempre brillantissima) di alcuni autori presenti. Uno è Marco Malvaldi che inventa un ristorante dove il menu è un omaggio a Battiato (quanti Maestri in questo pezzo, e tutti siciliani): il lunedì, dedicato a Summer on a solitary beach, propone spaghettoni monograno Felicetti con ricci di mare e caffè; il martedì, dedicato a Bandiera bianca, un raviolo aperto di baccalà mantecato con polvere di cipolla bruciata. La conversazione di Gaetano Savatteri è sempre uno spettacolo di fuochi d’artificio (qui a bordo della nave di una Ong). L’esibizione pirotecnica culmina con una citazione del grande Borges (un altro Maestro, ma argentino stavolta): «Due impiegati che in un caffè del sud giocano in silenzio agli scacchi, loro salveranno il mondo». Antonio Manzini scrive ormai con la scioltezza di uno che manda WhatsApp alla fidanzata. Stavolta a Schiavone capita un intricato caso di cadaveri e confini sul Monte Bianco. Ecco il WhatsApp finale tra il vicequestore e una collega francese: «Isabelle lo guardò. “Credo che io e te saremmo diventati ottimi amici”. “Lo credo anche io”. “Ma c’è un con- fine che ci divide”. “Solo quello?”». Penso da tempo che Andrej Longo scriva da dio, ma le sue trame somigliano a quelle prese in giro da Fabrizio Roncone nel noir Non farmi male: «Un serial killer che uccide solo maestre elementari, un preside pedofilo, una poliziotta che indaga». Alessandro Robecchi? Predica male e razzola bene (rifletta, per favore, sulla frase di Borges).