Corriere della Sera - La Lettura
Lunghissimo 2020 Il tempo del contagio
A febbraio di due anni fa esplode il nuovo virus. Una mostra a Milano ricorda un dolore non ancora finito
Come nel romanzo La peste di Camus, nei primi mesi del 2020 il mondo piomba nell’angoscia di un nuovo morbo. Un misterioso contagio partito da una città della Cina sconosciuta ai più, Wuhan, si diffonde rapidamente in Europa, colpendo duramente prima le regioni del nord Italia, in particolare Lombardia e Veneto, poi il resto della Penisola. E del Continente, che alza i ponti levatoi. E del mondo. Vietato uscire di casa. Chiuse le scuole. I cinema, i teatri, gli stadi. Sospesi eventi e manifestazioni. Rinviata di un anno persino l’Olimpiade di Tokyo. Mentre i malati muoiono soli, nelle terapie intensive congestionate degli ospedali o nel letto di casa, senza che un medico possa tentare di tutto per salvare loro la vita.
La pandemia di Covid-19 ha cambiato il nostro modo di vivere. Le abitudini. I valori. Ma ha anche rivelato la resilienza di un Paese che, nel momento del bisogno, ha dimostrato di sapere reagire. Nonostante il lockdown ,si è continuato a lavorare per garantire i servizi essenziali. Negli ospedali medici e infermieri si sono prodigati fino allo stremo. Lo raccontano le foto della mostra CoviDiaries allestita presso la Fabbrica del Vapore di Milano dal 28 gennaio al 25 febbraio. Nata dalla collaborazione tra l’associazione Fotografica e l’agenzia fotogiornalistica Parallelozero, l’esposizione si sviluppa lungo tredici linee narrative composte da voci, volti, avvenimenti diventati il simbolo di questi due anni. «La Lettura» ha scelto di pubblicare uno scatto per ciascuno dei quattordici mesi che compongono il «lunghissimo 2020» (forse non ancora del tutto finito), da febbraio quando tutto ha avuto inizio al marzo 2021, quando un arcobaleno s’affaccia su una nave e lascia intravedere una speranza — la prima campagna vaccinale è in pieno svolgimento — tuttora purtroppo disattesa.
«Dallo scoppio della pandemia — spiega Sergio Ramazzotti, fotografo, reporter e scrittore, cofondatore di Parallelozero — abbiamo documentato ciò che nel nostro Paese accadeva, dalla prima linea, gli ospedali, alle retrovie: fabbriche, abitazioni, strade. Presto ci siamo resi conto che la mole di foto prodotte poteva — e doveva — avere anche un altro utilizzo. Una scatola della memoria. È con questo presupposto che abbiamo creato CoviDiaries». Nel secondo anniversario dell’inizio della pandemia, anche se ancora non siamo usciti dal tunnel, riflette Ramazzotti, «non è forse prematuro aprire questa scatola per vedere cosa contiene. È un atto simbolico, per certi versi anche doloroso, che ci auguriamo possa tenere vivi i ricordi di un’esperienza collettiva durante la quale ci siamo scoperti capaci di cose che non sospettavamo. Ed è anche un modo per rendere un tributo alle vittime del virus». Con la pandemia, «la guerra era dietro casa. In almeno due occasioni abbiamo documentato epidemie di Ebola. Con il Covid abbiamo visto instaurarsi dinamiche sociali e psicologiche collettive simili: negazione del virus, ricerca di un capro espiatorio... Atteggiamenti che, finché relegati all’“Africa nera”, giudicavamo con sufficienza. Forti di quel ricordo ci è sembrato imprescindibile diffondere la consapevolezza della tangibilità di quello che stava — sta — accadendo».