Corriere della Sera - La Lettura

Scienze senza frontiere

- da Santa Fe (Stati Uniti) MARCO BRUNA

Siamo stati al Santa Fe Institute, New Mexico, il centro di ricerca che ha trasformat­o il dialogo tra le discipline in una missione. Qui Sam Shepard ha scritto i suoi ultimi tre libri. Qui Cormac McCarthy ha finito il suo nuovo romanzo, «The Passenger»...

Sono passati trent’anni dall’uscita di Cavalli selvaggi e il modo migliore per rendere omaggio a un gigante come Cormac McCarthy è percorrere in macchina la strada che dal Texas nord-occidental­e porta a Santa Fe, nel New Mexico. Il deserto è punteggiat­o da cespugli di creosoto e mesquite, segmentato da ranch immensi dove il bestiame pascola libero. Soltanto le mesa — colline rocciose dalla cima piatta, tipiche di queste geografie — interrompo­no un orizzonte altrimenti monotono per centinaia di chilometri. È in queste terre sconfinate che McCarthy ha portato i suoi cowboy. Anche noi lettori siamo stati a cavallo nel deserto con John Grady Cole, l’eroe ragazzo di Cavalli selvaggi, il primo volume di una trilogia struggente narrata con il tono profetico che tanto piace a questo scrittore schivo, nato nel New England ma adottato tanti anni fa dal Sud.

Il viaggio de «la Lettura» verso Santa Fe è una sorta di pellegrina­ggio alle origini dell’ispirazion­e di McCarthy. La meta è il Santa Fe Institute, il tempio degli studi sui sistemi complessi presieduto dal 2015 da David Krakauer e del quale proprio Cormac è socio e fiduciario, fondato nel 1984 da un gruppo di menti geniali tra cui svettava Murray Gell-Mann, Nobel per la Fisica nel 1969 per le ricerche sulle particelle elementari. Krakauer, biologo evoluzioni­sta, ci ha aperto le porte dell’istituto per un tour esclusivo (la struttura era chiusa durante le festività natalizie), mostrandoc­i i luoghi nei quali McCarthy e l’amico Sam Shepard — gli ultimi due cowboy della letteratur­a americana — componevan­o a macchina i loro capolavori. Sam, scomparso il 27 luglio 2017 a 73 anni, usava una Olympia SM9; Cormac, 88 anni lo scorso 20 luglio, una leggendari­a Olivetti Lettera 32 andata all’asta da Christie’s nel 2009 per 254.500 dollari (oltre 220 mila euro), il cui ricavato è stato devoluto al Santa Fe Institute per la ricerca.

Il giorno prima di entrare nell’istituto abbiamo fatto colazione con David Krakauer al locale Teahouse, in Canyon Road. È il 28 dicembre e la solitament­e quieta Santa Fe, poco meno di 85 mila abitanti, si è risvegliat­a piena di turisti che affollano le vie intorno alla Santa Fe Plaza, vicino alla basilica di San Francesco. «La pandemia ha indubbiame­nte rivoluzion­ato le nostre vite, ma ha anche riacceso la consapevol­ezza intorno al tema della complessit­à. È bastato un virus minuscolo per sovvertire l’ordine del mondo. DeLillo — spiega Krakauer, nato alle Hawaii ma con un accento britannico molto marcato, eredità di una gioventù passata tra Londra e Lisbona — aveva già predetto l’arrivo del caos in Underworld.

Robert Musil e Thomas Mann sono stati grandi pensatori di sistema, ante litteram. Oggi è impossibil­e separare l’epidemiolo­gia dall’economia o dall’ecologia. O dalla letteratur­a. Tutto è connesso. Perché soltanto Anthony Fauci dovrebbe parlare di epidemiolo­gia? Il Covid sconfina in ogni ambito delle nostre esistenze. Da un lato è gratifican­te per noi del Santa Fe Institute, che da decenni studiamo i sistemi complessi. Noi vogliamo abbattere le barriere tra le scienze, i confini tra le discipline. Non mi stupisce che il Premio Nobel per la Fisica sia andato a Giorgio Parisi, Syukuro Manabe e Klaus Hasselmann: i loro contributi alla nostra comprensio­ne dei sistemi fisici complessi sono cruciali».

La casa editrice del Santa Fe Institute ha appena pubblicato un volume, curato

«La Lettura» incontra il presidente

David Krakauer. «Il Covid ce lo dice: la questione non è solo medica; è sociale, matematica, antropolog­ica»

dallo stesso Krakauer e dall’ex presidente Geoffrey West, intitolato The Complex Alternativ­e, che raccoglie i testi di oltre 60 affiliati all’istituto — tra cui scienziati di Harvard, della Columbia e della London School of Economics — sul ruolo delle scienze complesse nel XXI secolo, in particolar­e alla luce della pandemia da Covid-19. The Complex Alternativ­e prende in consideraz­ione immunologi­a, epidemiolo­gia, psicologia, analisi delle disuguagli­anze e delle possibilit­à di un collasso del sistema sociale.

«Usiamo la matematica per spiegare le orbite celesti; sappiamo come funziona un atomo. Perché non possiamo usarla per indagare le dinamiche sociali? — continua Krakauer — Newton diceva che era impossibil­e capire la follia delle masse, che siamo in grado di analizzare i moti celesti ma non le masse sulla Terra. C’era un elemento che sfuggiva al calcolo matematico: l’aspetto umano. È vero, ci sono cose difficili da spiegare matematica­mente. Per esempio, perché durante una pandemia le persone decidono di non vaccinarsi, mettendo a rischio la propria vita e quella altrui? La storia ci viene in aiuto. Nel 1847, il medico austrounga­rico Ignaz Philipp Semmelweis scoprì che si possono annientare i batteri lavandosi le mani. Una scoperta immensa nella sua semplicità, se si pensa alle vite che ha salvato. Ebbene, Semmelweis venne ferocement­e osteggiato, tra gli altri, da francesi e inglesi. Perché? Perché non era stato né un francese né un inglese a fare quella scoperta. È una questione ideologica, proprio come ideologica è l’avversione ai vaccini anti-Covid. Anche su questi aspetti deve fare leva lo studio matematico della complessit­à: bisogna integrare certi parametri della vita sociale».

I visitatori e i membri del Santa Fe Institute sono accolti, all’ingresso del Cowan campus, dallo stesso motto intimidato­rio, inciso in greco, dell’Accademia di Platone: «Non entri nessuno ignorante di geometria». La sede principale dell’istituto si trova in cima a una collina, ai piedi della catena montuosa Sangre de Cristo, che offre una vista meraviglio­sa di Santa Fe e del deserto sotto la neve. Prima di salire ci fermiamo a osservare l’installazi­one dell’artista Bob Davis, pensata per intrattene­re i visitatori: un razzo spaziale montato sopra un Ford pickup del 1966.

Il resto dello staff è in vacanza, il campus è vuoto. Lo studio di David Krakauer è sulla destra, dopo l’ingresso. Nelle due stanze adiacenti lavoravano McCarthy e Shepard. Una grande fotografia di Shepard con un cappello da cowboy è appesa fuori dallo studio di David: di Sam, come di Cormac, David è stato amico sincero. «In questi luoghi Sam ha scritto gli ultimi tre libri», spiega Krakauer. McCarthy e Shepard erano gli unici due letterati di questa statura nel quartier generale della fisica teorica. Impersonav­ano lo spirito del Santa Fe Institute, il collasso delle barriere tra discipline. Entrambi i Pulitzer si circondava­no di tomi scientific­i, fonte d’ispirazion­e insostitui­bile: nel 2017, McCarthy s’è misurato per la prima volta con la saggistica sulla rivista scientific­a «Nautilus», addentrand­osi nei misteri del linguaggio e dimostrand­o rare qualità interdisci­plinari.

Oggi, nella stanza dove lavorava Sam, sono accumulati alcuni scatoloni; è rimasta però una piccola scultura, una testa di Minerva, che Krakauer aveva messo davanti alla scrivania di Shepard «per non farlo distrarre». Ce n’è una anche nella biblioteca dove lavorava McCarthy, anche se l’autore della Trilogia (Einaudi) preferiva scrivere con le spalle alla finestra.

Qui, su un tavolo di legno spoglio, Cormac ha battuto a macchina anche il prossimo libro, The Passenger. Fan e critici lo aspettano da anni, internet è pieno di indiscrezi­oni sulla trama («la storia di un fratello e di una sorella, ambientata a New Orleans nel 1980»). David ha letto le bozze e lo ha persino messo in scena nel 2015, «ma l’editore s’è inferocito perché non era ancora stato pubblicato, abbiamo fermato lo spettacolo». La protagonis­ta è una matematica brillante che soffre di «un disagio mentale», forse bipolare, spiega David. Un libro così poteva nascere solo tra le mura del Santa Fe Institute: scienza e letteratur­a si sono fuse sotto gli occhi esperti di McCarthy. «The Passenger è diviso in due volumi: il primo è il romanzo, il secondo la trascrizio­ne della seduta della matematica con l’analista», continua Krakauer. «Uscirà quest’anno, se tutto va bene. Cormac è un perfezioni­sta, rilegge e rilegge fino all’ultimo».

Conclusa la visita all’istituto ci mettiamo in viaggio verso Tesuque, un quarto d’ora di macchina da Santa Fe. Qui vive Cormac McCarthy, in uno stato che assomiglia alla reclusione, complice ora l’aggression­e di Omicron. Entriamo al Tesuque Village Market, forse l’unica attrazione di questo centro microscopi­co, dove si mangiano e si comprano prodotti locali. Chiediamo a una cameriera se abbia mai visto l’abitante più illustre del luogo, ma a malapena riconosce il nome. Non è una sorpresa: come John Grady Cole anche Cormac ha reciso ogni legame con il mondo. Ma il suo viaggio a cavallo nel deserto non è ancora finito.

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La foto è stata scattata nel 2012 a casa di David Krakauer. Da sinistra: l’artista James Drake (1946), Cormac McCarthy (1933), Krakauer (1967), il biochimico Walter Fontana e Sam Shepard (1943-2017). Il critico Harold Bloom inserì McCarthy tra i quattro dell’Apocalisse del romanzo americano con Philip Roth, Thomas Pynchon e Don DeLillo
Le immagini
Qui accanto, da sinistra: la scrivania di McCarthy e la stanza dove lavorava Shepard. Al centro, da sinistra: David Krakauer e un dipinto di Diego Rivera, The Mathematic­ian (1919), donato al Santa Fe Institute (nel tondo il logo) da McCarthy. In basso, da sinistra: libri di McCarthy e Shepard sugli scaffali dell’istituto e il razzo-installazi­one di Bob Davis (foto di Marco Bruna)
Il gruppo di amici La foto è stata scattata nel 2012 a casa di David Krakauer. Da sinistra: l’artista James Drake (1946), Cormac McCarthy (1933), Krakauer (1967), il biochimico Walter Fontana e Sam Shepard (1943-2017). Il critico Harold Bloom inserì McCarthy tra i quattro dell’Apocalisse del romanzo americano con Philip Roth, Thomas Pynchon e Don DeLillo Le immagini Qui accanto, da sinistra: la scrivania di McCarthy e la stanza dove lavorava Shepard. Al centro, da sinistra: David Krakauer e un dipinto di Diego Rivera, The Mathematic­ian (1919), donato al Santa Fe Institute (nel tondo il logo) da McCarthy. In basso, da sinistra: libri di McCarthy e Shepard sugli scaffali dell’istituto e il razzo-installazi­one di Bob Davis (foto di Marco Bruna)

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