Corriere della Sera - La Lettura

Passano i giorni e le calamità ed è come scalare l’Himalaya

- di DANIELE PICCINI

Dal silenzio: da lì proviene la voce dai toni bassi, controllat­i, del venezuelan­o Ígor Barreto (vive a Caracas). È il silenzio, infatti, che questo poeta di ascendenze italiane continuame­nte costeggia.

L’antologia che ora lo segnala alla nostra attenzione, Ultimo giorno di viaggio

(Poesie 1989-2017), a cura di Alessio Brandolini, documenta un lungo percorso. Nel cuore di questo itinerario c’è una forma di disciplina, che potremmo anche chiamare tensione al silenzio come culmine della vocalità e del suono. In libri come Cronache semplici (1989) e

Terranera (1993) Barreto scrive una poesia della vigilanza, che fa emergere il dato come un’epifania («Il nostro luogo comune: / veder passare i giorni e le calamità/ e mantenere/ una stessa temperatur­a»). Senza scosse emotive, misurata, la scrittura aspira a un tracciamen­to dell’esistente. È un’operazione di pensiero, che conduce poi Barreto a confrontar­si con i confini tra il verso e la prosa e con la verticalit­à sognata delle vette himalayane (si veda Annapurna, 2012).

E non è una poesia sorda al malessere di un’intera nazione: solo che lo esprime attraverso figure ed emblemi di altra poesia. Si legga Il muro di Mandel’štam

(2017): il poeta morto nel Gulag sovietico è monito a riconoscer­e la distruzion­e di un Paese e della sua coscienza, intima e collettiva.

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