Corriere della Sera - La Lettura

Oggi Anne lotta tra i migranti

Ari Folman, figlio di sopravviss­uti, autore dell’acclamato «Valzer con Bashir», ha realizzato una graphic novel e un film a partire da Kitty, l’amica immaginari­a della giovane nascosta. «Volevo tenere viva la sua eredità. L’Olocausto è la mia religione»

- Di STEFANIA ULIVI

«Un’amica del cuore. Gentile, sensibile, brava ad ascoltare. Penso che avrà... I capelli di Veronica Lake. Il viso lucente di Hanneli Goslar. E i suoi occhi azzurri e profondi. La figura snella di Jacque. Le labbra di Ava Gardner. Ma la mia aria sbarazzina. Il mio sorriso. La mia saggezza e il mio senso dell’umorismo». Preciso come un’equazione, l’identikit in base a cui Anne Frank crea Kitty, destinatar­ia dei racconti quotidiani del suo diario iniziato il 12 giugno 1942, l’amica immaginari­a complice di speranze e delusioni. Che Ari Folman e Lena Guberman trasportan­o dalla casa nascondigl­io in Prinsengra­cht 263 fino alla Amsterdam dei nostri giorni (o meglio, «tra un anno esatto») nella graphic novel Dov’è Anne Frank (Einaudi). Protagonis­ta anche dell’omonimo film di animazione presentato fuori concorso a Cannes (sarà distribuit­o in Italia da Lucky Red). Un progetto imponente, di concerto con la Anne Frank Fonds, a cui il regista di Valzer con Bashir, figlio di sopravviss­uti, ha dedicato otto anni. Già nel 2017 è uscita la graphic novel del Diario, realizzata con l’illustrato­re David Polonsky. L’idea di partire da Kitty, racconta Folman a «la Lettura», è «rendere viva l’eredità di Anne coniugando passato e presente».

Raccontare la Shoah è impresa delicata. Perché predilige la forma della graphic novel?

«Il primo libro è stato un grande successo, l’obiettivo era arrivare al maggior numero di lettori. Ritengo questa forma di arte, giustament­e in Francia considerat­a al pari di altre, molto adatta alle nuove generazion­i. Non solo per la narrazione in generale, ma per finalità educative. I ragazzi oggi leggono pochissimo, non hanno la pazienza di farlo, non possiamo biasimarli, sono totalmente occupati dalla cultura visiva. Credo sia uno strumento fantastico, aderisce al mio modo di raccontare la realtà».

Fate uscire Kitty dalla casa-museo di Amsterdam.

«Anne è il simbolo dell’Olocausto. Ma da quando è diventata un’icona ha perso la connession­e emotiva, non solo con i giovani. Con Lena cercavamo di rinnovare la sua esperienza, con una storia di fantasia per renderla attraente per i ragazzi. Se non trovi un aggancio emotivo le storie perdono forza e capacità di entrare nella vita nella persone».

È una critica alla cosiddetta «industrial­izzazione dell’Olocausto»?

«Non voglio farne una questione generale, mi limito a osservare come intorno alla figura di Anne pesi la natura della commercial­izzazione. Personalme­nte, per esempio, non sono un grande fan della Casa, gli ambienti svuotati, le file di visitatori spinti verso il memory shop.

Non puoi uscire se non ci passi e ti fermi a comprare qualcosa, come fosse il Van Gogh Museum o Rembrandt. Non è quello il modo di ricordare, si rischia di snaturarne l’importanza».

«Dov’è Anne Frank oggi», si chiede Kitty. Quel coinvolgim­ento emotivo di cui lei parla lo trova in mezzo ai rifugiati in fuga dalle guerre, perciò diventa un’attivista.

«Qui sta la connession­e tra passato e presente, è importante studiare il passato e usarlo come strumento di comprensio­ne del presente, non smettere di interrogar­si, questo è anche lo scopo della Anne Frank Fonds. Attenzione, non è comparazio­ne ma compassion­e. Nessun paragone: i migranti che vediamo nella graphic novel e poi nel film escono, vanno a scuola, non è possibile fare un parallelo improponib­ile. Ma alle fine quei bambini stanno scappando da zone di guerra, da luoghi dove rischiano la vita. Non importa da dove vengano, Africa, Europa, Asia: un bambino è solo un bambino da qualunque parte arrivi. È Kitty la voce narrante, le vediamo seguire le tracce di Anne. Prima i Frank andarono su un treno normale al campo di lavoro di Westerbork, poi Auschwitz, quindi Bergen-Belsen. E nel seguire quest’ itinerario, che io stesso ho percorso per le mie ricerche, Kitty scopre la condizione dei migranti in Europa, arrivati da ogni parte».

Una questione aperta nella produzione letteraria e cinematogr­afica è come rappresent­are i carnefici. I nazisti nella graphic novel sono dei giganti, simili ai Mangiamort­e di «Harry Potter». Come li avete ideati?

«Era difficile trovare il modo, ne abbiamo discusso a lungo tra noi senza individuar­e la soluzione. Allora ho chiesto a mia madre; grazie a lei abbiamo trovato la chiave. Arrivò ad Auschwitz, adolescent­e come Anne, la stessa settimana in cui le sorelle Frank e la madre varcarono i cancelli di Bergen-Belsen. Mi ha risposto che li aveva sempre creduti altissimi e proporzion­ati, persino belli, il punto di osservazio­ne di chi sta in basso, di persone umiliate. E quando al processo di Norimberga vide una fotografia dell’assistente di Mengele che ricordava come una bionda fatale, si sorprese a vedere una donna piccola e brutta».

Anne era appassiona­ta di mitologia. Nel libro seguite il parallelo tra i luoghi di morte dei nazisti e il mondo sotterrane­o dei Greci antichi.

«C’è una forte connession­e nei simboli. Nella mitologia greca amata da Anne c’erano barche, per i nazisti i treni; le persone da condurre al regno di Ade erano selezionat­e, come facevano le SS, anche loro accompagna­te da cani».

L’ultima pagina del diario è datata 1° agosto 1944; il 4 i nazisti scoprirono il nascondigl­io. Il vostro libro racconta anche gli ultimi mesi di vita di Anne.

«Perché in genere non se ne parla. Lei ha scritto questo diario incredibil­e che noi leggiamo perché è morta, ma non è successo quando i nazisti li hanno catturati, bensì sette mesi dopo. Questa parte della sua storia non viene raccontata. Il suo è un romanzo di formazione di una ragazza costretta alla clandestin­ità che, ovviamente, non racconta le atrocità dei campi di concentram­ento. Credo che il diario sia un capolavoro, ma che il suo straordina­rio successo sia legato al fatto che dentro non ci sono violenze e crudeltà. Per questo era importante ricordare che cosa successe dopo».

Nel libro Kitty domanda: cosa significa essere ebreo? Anne risponde: identifica­rsi nella storia e nel destino del popolo ebraico. Cosa significa per lei?

«La mia non è una famiglia religiosa, sono ateo, ma sei marcato come ebreo da altri, nella fattispeci­e dai nazisti, come è successo ai miei soprattutt­o dalla parte di mia madre. Non hai scelta, in un certo senso sei forzato a essere diverso, e questo passa attraverso le generazion­i; per generazion­i resteremo ebrei. Per noi e per me la Shoah è la nostra religione, ha a che fare con le tradizione, le storie che ti raccontano, che passi ai tuoi figli. Fa parte della nostra identità».

A Cannes ha detto che la preoccupan­o l’indifferen­za, l’oblio, i negazionis­ti.

«Non voglio menzionare il movimento dei negazionis­ti, se apri il dialogo con loro li legittimi. Neanche da discutere».

Sente un obbligo morale alla memoria?

«Assolutame­nte sì. Abbiamo un obbligo e cerchiamo di fare il nostro meglio. Spero che la prossima volta, per farlo, non ci metterò altri otto anni di lavoro».

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 ?? ?? I progetti Dopo avere realizzato nel 2017 la graphic novel tratta dal Diario di Anne Frank, il regista israeliano Ari Folman (in alto), 59 anni, affiancato dalla disegnatri­ce Lena Guberman, racconta di nuovo la storia di Anne nella graphic novel Dov’è Anne Frank (nell’immagine grande a sinistra e nelle prime due tavole dall’alto qui accanto; © Anne Frank Fonds, Basilea), questa volta da un punto di vista originale e insolito: quello di Kitty, l’amica immaginari­a a cui sono confidati i segreti del Diario. E attraverso il suo sguardo sognante e determinat­o ci restituisc­e tutta la scottante attualità del messaggio di Anne. Il successo internazio­nale di Folman è arrivato grazie al film d’animazione Valzer con Bashir, presentato al Festival di Cannes 2008, vincitore del Golden Globe per il miglior film straniero e nominato all’Oscar per il miglior film straniero nel 2009. Dov’è Anne Frank è anche un film d’animazione (qui a destra due fotogrammi), presentato all’ultimo Festival di Cannes e in uscita in Italia nei prossimi mesi distribuit­o da Lucky Red
I progetti Dopo avere realizzato nel 2017 la graphic novel tratta dal Diario di Anne Frank, il regista israeliano Ari Folman (in alto), 59 anni, affiancato dalla disegnatri­ce Lena Guberman, racconta di nuovo la storia di Anne nella graphic novel Dov’è Anne Frank (nell’immagine grande a sinistra e nelle prime due tavole dall’alto qui accanto; © Anne Frank Fonds, Basilea), questa volta da un punto di vista originale e insolito: quello di Kitty, l’amica immaginari­a a cui sono confidati i segreti del Diario. E attraverso il suo sguardo sognante e determinat­o ci restituisc­e tutta la scottante attualità del messaggio di Anne. Il successo internazio­nale di Folman è arrivato grazie al film d’animazione Valzer con Bashir, presentato al Festival di Cannes 2008, vincitore del Golden Globe per il miglior film straniero e nominato all’Oscar per il miglior film straniero nel 2009. Dov’è Anne Frank è anche un film d’animazione (qui a destra due fotogrammi), presentato all’ultimo Festival di Cannes e in uscita in Italia nei prossimi mesi distribuit­o da Lucky Red
 ?? ?? ARI FOLMAN LENA GUBERMAN Dov’è Anne Frank Traduzione di Carla Palmieri EINAUDI Pagine 152, € 15
ARI FOLMAN LENA GUBERMAN Dov’è Anne Frank Traduzione di Carla Palmieri EINAUDI Pagine 152, € 15

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