Corriere della Sera - La Lettura
Privilegiati e marginali: gli altri danni del Covid
L’economista analizza la nuova lotta di classe tra Primo e Quinto Stato
Nella prefazione al suo più famoso romanzo, I Malavoglia, Giovanni Verga espose una duplice visione del progresso: da un lato, un generale avanzamento del benessere e delle opportunità, dall’altra un susseguirsi di rivolgimenti sociali che tende a travolgere i più deboli. I Malavoglia sono una famiglia laboriosa di pescatori, con una barca simbolicamente chiamata «Provvidenza». A dispetto della loro intraprendenza, la «fiumana» del progresso finisce tuttavia per sopraffarli: una serie di eventi imprevedibili getta i personaggi nel mucchio dei «vinti». Alla fiducia di molti filosofi positivisti suoi contemporanei, Verga contrappone una visione realista e disincantata della società e dell’esistenza umana, sempre vulnerabile ai capricci del destino. L’unico punto fermo resta la famiglia, con il suo patrimonio di umana solidarietà.
Due decenni dopo la pubblicazione dei Malavoglia, Giuseppe Pellizza da Volpedo riprese la metafora della fiumana nel suo celebre quadro Il Quarto Stato. In questo caso però il termine non si riferiva ad un processo astratto e impersonale, ma a una risposta concreta ai suoi dirompenti effetti sociali. Il quadro raffigura la marcia di protesta di un gruppo di contadini della pianura padana, epicentro delle lotte agrarie del primo Novecento. Si tratta sempre di perdenti, ma non più rassegnati alla miseria, bensì impegnati a combatterla con un’azione collettiva. Nella convinzione che la loro esclusione dai frutti del progresso non dipenda da sfortuna o destino, ma dai rapporti di potere fra le classi.
Se Verga delinea un profilo letterario della transizione alla modernità nei suoi risvolti negativi — la resa dei vinti — Pellizza fornisce una rappresentazione pittorica della riscossa, della pretesa di inclusione nel mondo dei vincitori da parte degli oppressi. Due facce della stessa medaglia, che il grande storico e sociologo Karl Polanyi identificò nel suo libro La Grande Trasformazione, come il «doppio movimento» che accompagnò la rivoluzione industriale. Una prima fase di rivolgimenti sociali distruttivi e una seconda fase di ricostruzione protetti
va, che portò alla creazione dei sistemi pubblici di welfare.
Nel corso del Novecento, industrializzazione e mercato hanno moltiplicato la ricchezza, mentre il welfare state ha attutito l’impatto sociale dei cambiamenti. La fiumana del progresso ha però continuato a scorrere. L’inizio del nuovo millennio è stato infatti accompagnato da nuovi incisivi mutamenti. La transizione post-industriale, la globalizzazione, la cosiddetta quarta rivoluzione tecnologica sono diventati i motori di una seconda Grande Trasformazione, che sta nuovamente rivoluzionando la struttura di rischi e bisogni.
L’apertura economica e la globalizzazione impattano diversamente sulla struttura produttiva: penalizzano i vecchi settori, le piccole e piccolissime imprese, i territori geograficamente più periferici. La finanziarizzazione del capitalismo e la formazione di grandi conglomerati multinazionali moltiplicano invece le opportunità per i detentori di capitale, gli operatori finanziari, i manager, i grandi consulenti e liberi professionisti, i giovani con competenze avanzate in certi campi (economia, diritto, discipline Stem scientifiche e ingegneristiche). L’accesso alle opportunità si è ampliato anche per larga parte della nuova classe media: i lavoratori istruiti occupati nei settori più avanzati e dinamici dell’industria e dei servizi, residenti nelle grandi aeree urbane. Questa grande e incisiva differenziazione in termini di chance fa si che le medesime parole (flessibilità, contratti a termine, occupabilità, formazione continua) suscitino emozioni di segno opposto a seconda della collocazione personale sul continuum rischi/opportunità.
Facciamo qualche esempio. Un giovane diplomato svedese con competenze medio-basse ha più chance di protezione e più opportunità rispetto a un diplomato inglese o spagnolo con le stesse caratteristiche: il sistema di trasferimenti e servizi svedese offre infatti livelli di sicurezza economica (reddito, sussidi all’abitazione) e di capacitazione sociale (servizi di formazione post-scolastica, politiche per l’impiego e per l’inserimento lavorativo) inimmaginabili in Gran Bretagna o in Spagna. Del resto, in Italia un laureato del Centro-Nord ha molte più chance di mercato (occupazione e reddito) di un laureato del Sud. Una piccola impresa all’interno di un distretto del Nord-Est, caratterizzato da alto capitale sociale e sostenuto da infrastrutture e servizi pubblici, ha più probabilità di sopravvivenza e sviluppo rispetto a una piccola impresa isolata e situata in un contesto geo-economico periferico. E questo quadro già così variegato è ulteriormente complicato dalla crescente rilevanza delle situazioni contingenti: una malattia improvvisa o un divorzio; la nascita di un figlio; la delocalizzazione di un’impresa importante nel territorio di residenza e la perdita del posto di lavoro; la disponibilità o meno di servizi di welfare locale. Sotto altre spoglie, è un po’ la sindrome dei Malavoglia: la costante vulnerabilità esistenziale rispetto a eventi imprevedibili. E, come ai tempi di Pellizza da Volpedo, questa vulnerabilità è distribuita in modo fortemente diseguale. Le opportunità si concentrano in un «Primo Stato» di privilegiati, in grado di catturare un surplus di opzioni, mentre i rischi tendono a concentrarsi in un nuovo «Quinto Stato», spesso privo di risorse sufficienti e con alte probabilità di rimanere intrappolato nella deprivazione e nella marginalità.
La pandemia da Covid-19 ha aggravato la situazione, provocando danni sociali enormi e creando un clima di allarme che le generazioni nate dopo la Seconda guerra mondiale non avevano mai sperimentato. S’è diffusa un’incertezza «radicale» a livello individuale e collettivo. Il virus si è manifestato e diffuso per il tramite di focolai che hanno colpito con particolare intensità alcune zone, fasce di età, tipi di comunità. Nel tessuto sociale ed economico si sono così formati dei «buchi», distribuiti in modo non uniforme fra famiglie e territori. I lockdown hanno a loro volta provocato conseguenze diverse fra settori produttivi e categorie occupazionali. Le cicatrici della pandemia rimarranno così visibili a lungo.
La sfida per il futuro è chiara. Occorre orchestrare il «secondo movimento», dare un ordine alla nuova costellazione di rischi e opportunità, capace di favorire lo sviluppo economico e sociale, o meglio «umano». Un ordine che sia ispirato a principi condivisi di giustizia distributiva, in modo da essere percepito e accettato come equo e legittimo nei suoi fondamenti da parte dei cittadini.
Oggi questa sfida è ancora in larga parte da raccogliere. Fra i tanti ostacoli che si frappongono su questa strada, il più insidioso è la tentazione di arrestare i cambiamenti, di alzare i ponti levatoi per difendere le antiche cittadelle. Un ostacolo particolarmente forte in quanto i perdenti di oggi hanno poco interesse e scarsa capacità di mobilitarsi politicamente: per rispecchiare lo spirito del nostro tempo, Pellizza dovrebbe dipingere oggi una marcia di pensionati o dipendenti pubblici o di giovani precari. Ma come ben diceva, di nuovo, Karl Polanyi, «la restaurazione del passato è impossibile, tanto quanto trasferire i nostri problemi su un altro pianeta», aggiungendo poco dopo che «la società industriale può permettersi di essere al tempo stessa giusta e libera». Quest’affermazione vale anche per la società post-industriale. E la creazione di una società più giusta e più libera dipende oggi più ancora che in passato dalle opzioni di valore, dalle capacità di leadership, dalle scelte concrete di chi occupa ruoli di responsabilità, soprattutto in politica. Per dirla con uno dei memorabili proverbi di Padron ’Ntoni, capostipite dei Malavoglia, «senza pilota, barca non cammina».
Un laureato del Centro-Nord ha molte più possibilità di mercato di uno del Sud; una piccola impresa
del Nord-Est ha più capacità di sopravvivenza e di sviluppo rispetto a una isolata e periferica