Corriere della Sera - La Lettura
LUI E MONTALE LIGURITÀ PER DUE
«Liguria, l’immagine di te sempre nel cuore,/ mia terra, porterò, come chi parte...». Sbarbaro ha passato, quasi, tutta la vita in Liguria soprattutto per scelta sua. Quella «scarsa lingua di terra che orla il mare,/ chiude la schiena arida dei monti» lo accoglieva, lo proteggeva, lo difendeva. Gli piaceva la secchezza di quella terra che riproponeva la secchezza di chi l’abitava. Secchezza era la sua parola d’ordine. La ricerca di una parola sempre più spoglia. Ne sono testimoni i titoli (da lui voluti) dei suoi libri: Pianissimo, Trucioli, Resine. Come dire: non vi voglio disturbare. Parlo con il silenzio.
Santa Margherita, Spotorno, Voze, Varazze, Savona, Genova: i suoi luoghi. Ma sempre anche ciò che c’era alle spalle delle case stipate: i legni dei boschi e i sentieri di fatica. E osservare. Guardare la realtà: che fosse un lichene (Sbarbaro ne fu un espert0) o un vicolo di Genova. Quanto fosse grande, Sbarbaro, ce ne siamo accorti troppo tardi. Non Eugenio Montale che in una poesia, Caffè a Rapallo (Rapallo, Liguria, appunto), annota:
«Qui manchi/ Camillo, amico, tu storico/ di cupidige e di brividi». Montale e Sbarbaro: liguri che se l’intendevano.