Corriere della Sera - La Lettura

LUI E MONTALE LIGURITÀ PER DUE

- Di FRANCESCO CEVASCO

«Liguria, l’immagine di te sempre nel cuore,/ mia terra, porterò, come chi parte...». Sbarbaro ha passato, quasi, tutta la vita in Liguria soprattutt­o per scelta sua. Quella «scarsa lingua di terra che orla il mare,/ chiude la schiena arida dei monti» lo accoglieva, lo proteggeva, lo difendeva. Gli piaceva la secchezza di quella terra che riproponev­a la secchezza di chi l’abitava. Secchezza era la sua parola d’ordine. La ricerca di una parola sempre più spoglia. Ne sono testimoni i titoli (da lui voluti) dei suoi libri: Pianissimo, Trucioli, Resine. Come dire: non vi voglio disturbare. Parlo con il silenzio.

Santa Margherita, Spotorno, Voze, Varazze, Savona, Genova: i suoi luoghi. Ma sempre anche ciò che c’era alle spalle delle case stipate: i legni dei boschi e i sentieri di fatica. E osservare. Guardare la realtà: che fosse un lichene (Sbarbaro ne fu un espert0) o un vicolo di Genova. Quanto fosse grande, Sbarbaro, ce ne siamo accorti troppo tardi. Non Eugenio Montale che in una poesia, Caffè a Rapallo (Rapallo, Liguria, appunto), annota:

«Qui manchi/ Camillo, amico, tu storico/ di cupidige e di brividi». Montale e Sbarbaro: liguri che se l’intendevan­o.

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