Corriere della Sera - La Lettura
Murakami si veste da personaggio
L’autore giapponese svela in un volume la passione per le T-shirt E aggiunge un altro tassello alla rappresentazione di sé
C’è una terra di mezzo, una specie di limbo tra il vivere e lo scrivere, tra l’autore e i suoi personaggi: una laguna dove le acque si confondono ma bagnano allo stesso modo, democraticamente, figure reali e figure immaginarie. Si tratta forse dell’ovvio bandolo della fantasia ed è comunque uno spazio che Murakami Haruki abita con grande scioltezza, a suo agio tra le minuzie che rimbalzano tra il mondo e la pagina. È così per il suo nuovo libro, che porta già nel titolo il nome del più celebrato narratore giapponese vivente:
Murakami T. The T-Shirts I Love (Le T-shirt che amo) rielabora e integra alcuni testi apparsi sulla rivista nipponica «Popeye» e racconta una genuina passione per le magliette di cotone a maniche corte.
Lo scrittore — che l’anno scorso ha collaborato con il marchio Uniqlo per una serie di 8 maglie ispirate ai suoi libri — sostiene di raccoglierle da sempre. Conserva quelle già indossate, quelle mai messe, quelle dimenticate. Una silenzioso affollarsi di presenze parallelo alla celebre collezione di vinili, soprattutto di jazz, della quale Murakami ha parlato spesso. Di Lp discorre anche qui, spiegando che «i negozi di dischi usati a Parigi, Londra, Berlino o Roma non hanno mai fatto per me. Ho frugato un po’ in giro ma non mi sono mai imbattuto in qualcosa di spaziale. Mi chiedo perché». Il lettore viene dunque accompagnato in un volume smilzo, strutturato per capitoli tematici sulla base dei motivi stampati sulle T-shirt (hamburger, whisky, eventi sportivi e musicali, varie categorie di animali) e condotto come una conversazione lieve e quasi svagata. Small talk,
si direbbe all’inglese: innocenti banalità (l’Islanda che è «un Paese affascinante» dove «spero di tornare, un giorno»), piccoli aneddoti legati al singolo capo d’abbigliamento o a una certa stampigliatura. Molte fotografie, ma non essenziali: le parole basterebbero da sole, pronte come sono a evocare il surf alle Hawaii, circonfuso di mitologie fricchettone, o a concedere lampi di ammirazione per la tenuta di Bruce Springsteen, ascoltato dal vivo nel 2018 a Broadway.
«Sono un fan delle T-shirt lisce. Le preferisco, sono la mia scelta abituale, subito dopo vengono quelle senza disegni ma con una scritta. Non T-shirt con un testo che dica chissà cosa, ma con un messaggio di quelli che ti fanno scuotere la testa chiedendoti che cosa diavolo vogliano dire». Questa che sembra una dichiarazione programmatica offre anche — rischiando di vedervi più di quello che significa — una suggestione ulteriore. Le T-shirt seminano parole, vestono a loro volta il mondo di segni e indizi che sta all’occhio e all’estro dell’istante ricodificare. Fecondano di senso, un