Corriere della Sera - La Lettura
La consolazione dei gatti da romanzo
I felini popolano un caffè a tema di Milano. E affollano la letteratura nipponica, dai classici al duo Shinkai & Nagakawa
Hanno nomi rock. Elvis, David Bowie, Mina, Jimi Hendrix, Elton John, Blondie, Joey Ramone, Freddie Mercury, Patty. Giocano, si stiracchiano, dondolano su piccole amache. Fanno la vita dei gatti d’appartamento, ma in compagnia. Di camerieri e clienti. Sono gli abitanti del Crazy Cat Café di via Napo Torriani a Milano, cucina a vista — ma blindata per ragioni di igiene — torte, brunch e nove felini. Come in Giappone. E, come in un romanzo giapponese, mentre ti guardano curiosi, mentre ti saltano sulle gambe (loro possono, mentre il regolamento del locale vieta agli umani di prenderli in braccio) sornioni ed enigmatici, viene in mente che da un momento all’altro potrebbero mettersi a parlare, a cambiare le sorti di una giornata o di un’esistenza. Ce lo hanno insegnato gli autori nipponici, che per i gatti hanno un senso speciale, una benevola ossessione. E che continuano a stupirsi e stupirci con felini portentosi. Ce ne sono di irresistibili anche in Lei e il suo gatto di Shinkai Makoto e Nagakawa Naruki, appena uscito da Einaudi nella traduzione di Anna Specchio.
Antidoto alla solitudine, talismano per la felicità, portafortuna (il Maneki neko con la zampa sollevata, neko significa gatto), personaggio di leggende e tradizioni, terapista di coppia (Hiraide Takashi, Il gatto venuto dal cielo, Einaudi, 2015), bibliofilo (Natsukawa Sosuke, Il
gatto che voleva salvare i libri, Mondadori, 2020), globetrotter (Arikawa Hiro,
Cronache di un gatto viaggiatore, Garzanti,
2017), intramontabile protagonista (parlante) di romanzi e racconti di Murakami Haruki (a partire da Kafka sulla
spiaggia, Einaudi, 2008), il gatto — silenzioso, espansivo a ritmi alterni, poco ingombrante anche in un minuscolo appartamento di Tokyo, rimedio a solitudini quotidiane in una società chiusa e competitiva — è diventato star della cultura nipponica abitando libri e manga (per non parlare degli onnipresenti Doraemon ed Hello Kitty). E nel romanzo di Shinkai e Nagakawa (rispettivamente uno dei più noti registi e mangaka, indicato come il nuovo Miyazaki, autore di
Your Name ,l’ anime con l’incasso maggiore di tutti i tempi, mentre Nagakawa è sceneggiatore e scrittore) la truppa miagolante composta da Chobi, Cookie, Mimi, Kuro è responsabile di incontri romantici, di uscite salvifiche — come quella di Aoi, autoreclusa in casa per oltre un anno dopo un tragico lutto — di cambiamenti per una generazione complicata fatta di giovani soli, chiusi in sé stessi, spesso incapaci di esprimere sentimenti ed emozioni, bloccati.
Gli autori usano parole delicate per raccontare tristezze profonde, frustrazioni, afasie di uomini e donne pietrificati dall’esistenza. I gatti no: comunicano, si muovono, graffiano. Con la loro vitalità costringono a prendere decisioni, si fanno sentire e amare, hanno un cuore grande e palpitante. Tanto da far dire all’incolore Miyu, una delle quattro umane del
romanzo: «Il giorno di pioggia in cui avevo incontrato Chobi mi ero convinta di averlo salvato. Che arrogante ero stata: era stato lui, invece, a salvare me».
Prima persona singolare. Anche quando parlano i gatti. Le loro riflessioni sono affettuose. Semplici. Mai scontate: «Non potevo far nulla per risolvere i suoi problemi. Ma potevo starle accanto, potevo vivere il mio tempo accanto a lei». E del resto un classico della letteratura giapponese — e di quella «gattara» — inizia con l’«io», mettendo al centro il punto di osservazione dell’animale: «Io sono un gatto. Un nome ancora non ce l’ho. Dove sono nato? Non ne ho la più vaga idea. Ricordo soltanto che miagolavo disperatamente in un posto umido e oscuro». La firma è di Natsume Soseki (1867-1916), uno dei principali autori del Giappone moderno; il libro è il suo venerato esordio Io sono un gatto (1906), nel mondo ne sono uscite innumerevoli versioni. In Italia è stato tratto dal libro anche un fumetto (Lindau, 2018), mentre Neri Pozza ha appena riproposto il romanzo nella traduzione di Antonietta Pastore e con le illustrazioni di Piero Macola.
Silenziosi e potenti. Rilassanti. Un’esperienza degli effetti «terapeutici» dei felini si può provare al Crazy Cat Café di Milano (ma anche a Roma, Palermo, Torino, e poi a Parigi, Londra, e ovviamente in Giappone, dove i neko café sono nati). Qui nove trovatelli nel 2015 hanno trovato una famiglia numerosa e variegata. Docili di carattere, hanno imparato a stare in mezzo alla gente, un ambiente internazionale dove non è raro scovare
qualche giapponese con la nostalgia di casa. Alba Galtieri, la titolare del locale, racconta: «I clienti dicono di sentire giovamento dalla presenza dei gatti. La cosa è reciproca: durante il lockdown la nostra colonia felina era particolarmente depressa».
Poche regole ma ferree: no a grida e rumori bruschi, mai prendere i gatti in braccio («non sono peluche da spostare a piacimento»), stimolarli solo con i giocattoli messi a disposizione dal locale, non dare loro da mangiare (sono ben nutriti), rispettare il loro sonno, mai usare il flash quando li si fotografa. Per il resto, le nove rockstar del caffè milanese sono libere di interagire con i clienti, saltare sui tavoli e giocherellare in un ambiente che mette alla prova le loro abilità (scalette, passaggi strettissimi, tavole da equilibristi su cui schiacciare un pisolino). «Ormai hanno sei anni, li abbiamo scelti con l’aiuto di un comportamentista, alcuni provengono dalla stessa cucciolata. Un altro tema a cui teniamo molto è l’adozione. Freddie Mercury, per esempio, ha un occhio solo ed è amatissimo», continua la proprietaria, imprenditrice trentacinquenne folgorata da un cat café di Osaka, «piccolo e accogliente».
Imparare dai gatti. O forse solo osservarli, immaginandoli più saggi di noi, a volte invidiandoli. Presenze silenziose da interrogare cercando risposte a umane inquietudini.