Corriere della Sera - La Lettura
Non sono più gialli ma solo preghiere
Tra gli highlight del nuovo romanzo di Antonio Manzini, Le ossa parlano, metterei la passione del protagonista (un ragazzino morto in circostanze orribili) per Capitan America, il supereroe inventato per combattere il nazismo anche con i fumetti. Il simbolo di Capitan
America è il suo potente scudo che qui, però, non serve a sconfiggere il male. Secondo highlight: il dialogo più struggente che mai tra Rocco e il fantasma di Marina sul nome da dare alla figlia o al figlio che non hanno avuto e non avranno mai. C’è un passaggio che spiega (forse definitivamente) com’è fatto il vicequestore Schiavone ed è quando dice: «Però i figli, lo sai?, ti trasformano in una persona che implora l’amore. E questo non va bene, Mari’, non per me». Terzo highlight: un altro battesimo. Lupa ha messo al mondo tre cuccioli e Schiavone vuole chiamarli con nomi tratti dalle opere del Bardo per antonomasia. Marina, non convintissima, chiede: «Ma a parte Shakespeare hai altri suggerimenti?». La risposta di Rocco è una verità assoluta e lapidaria: «A parte Shakespeare non c’è niente». Quarto highlight: il vicequestore legge a Marina una (bellissima) poesia di Giorgio Caproni (se proprio ci deve essere qualcuno, a parte Shakespeare, io Caproni lo vedo bene). La poesia si intitola Ultima preghiera («Anima mia, fa’ in fretta,/ ti presto la bicicletta...») e parla delle ragazze di Livorno, «aperte come le sue piazze». Potrei continuare (Manzini è tutto un highlight), ma smetto per citare un altro libro (doloroso e plumbeo, come questo), La promessa di Friedrich Dürrenmatt, il cui sottotitolo
(«Un requiem per il romanzo giallo») calza benissimo anche per Le ossa parlano eneè la perfetta recensione in sei parole.
Manzini non scrive più gialli ma preghiere (Caproni, appunto), come questo Eterno riposo per Mirko, il ragazzino che amava Capitan America. Voto 10 e grado conseguente.