Corriere della Sera - La Lettura
Un astrofisico, un pastore, una leader politica
Negli ultimi tempi Filippo Ferraresi, 36 anni (foto piccola), ha lavorato come assistente alla regia al fianco, tra gli altri, di Franco Dragone, Romeo Castellucci, Fabrice Murgia. Da queste solide basi nasce la sua prima regia, De infinito universo, una coproduzione Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa e Théâtre National WallonieBruxelles attesa in prima nazionale al Teatro Studio Melato di Milano (29 gennaio-13 febbraio; in alto un rendering dello spazio scenico; entrambe le foto sono di Masiar Pasquali).
Laureato in Scienze dello spettacolo all’Università di Roma, un dottorato alla Sorbona di Parigi, da dieci anni Ferraresi collabora con Franco Dragone, co-fondatore del Cirque du Soleil, come regista assistente di spettacoli di grandi dimensioni in tutto il mondo. Dal 2018 è assistente alla regia di Romeo Castellucci per le sue creazioni teatrali e operistiche. De infinito universo, spiega, «è uno spettacolo transdisciplinare che intreccia recitazione e tecnologia, acrobatica ed effetti speciali. La scena è una boîte magique, una scatola magica con botole, porte a scomparsa, apparizioni. La rappresentazione è divisa in tre tableaux, tre monologhi per altrettanti personaggi: un astrofisico, che racconta al pubblico i misteri sulla fine dell’universo; un pastore che declama il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, di Giacomo Leopardi, una riflessione sul senso della vita di fronte all’immensità; e... E poi tutto precipita nell’ultimo quadro», dove «la giovane assistente di una potente leader politica femminile immagina un discorso che vorrebbe rivolgerle, rimproverando la mancanza di una visione più elevata in chi ci governa». I primi due monologhi, sottolinea il regista, «sono la rampa di lancio per l’ultimo: hanno senso solo se messi a confronto con la contemporaneità: cosa vuole dire andare verso un destino di oblio cosmico?».
Dopo Milano lo spettacolo andrà in scena a Bruxelles. Nel cast il premio Ubu Gabriele Portoghese (Miglior attore protagonista per Tiresias di Giorgina Pi), Elena Rivoltini (cantante lirica oltre che attrice) e Jérémy Juan Willi (acrobata e musicista), il pastore errante interprete del Canto notturno di Leopardi: «Un tassello che bene descrive quello che volevo raccontare, il pastore mi fa pensare a mio nonno, a un’antichità primigenia. Per me il passato è fondamentale. Sono affascinato dalle comunità primitive, il primo Homo sapiens». Una passione nata dal primo libro della serie Sapiens: Una breve storia dell’umanità, del professore di storia israeliano Yuval Noah Harari. «Mi ha fatto pensare al fatto che quando studiamo storia a scuola, iniziamo più o meno 5 o 6 mila anni fa. Ma siamo Homo sapiens da almeno
200 mila anni. Che cosa è successo negli altri 190 mila? Questa domanda mi tormenta».
Da essa si è sviluppata Dans la caverne, creazione sonora composta durante il lockdown, presentata l’anno scorso a Bruxelles: un racconto sulla prima comunità che scopre su una parete di roccia il disegno di un animale. Una metafora sui nostri giorni, sul bisogno di inventare immagini irreali quando si è costretti a vivere in uno spazio limitato. «C’è sicuramente un parallelo tra il confinamento e Nella caverna, ma non è voluto. È successo mio malgrado, come l’acqua scava la pietra per trovare una vita d’uscita. Dovremo aspettare ancora del tempo per comprendere appieno le conseguenze di quello che avremo vissuto». (laura zangarini)