Corriere della Sera - La Lettura
Buddha si risvegliò sotto un albero E divenne ecologista
Titoli simili e approcci molto diversi: i saggi dell’antropologa Amalia Rossi e del filosofo David R. Loy danno conto dei legami tra spiritualità e ambientalismo. Il maestro Thich Nhat Hanh, appena scomparso, invocava lo zen
La veste del monaco viene arrotolata e tranciata con un grosso coltello. Si distribuiscono le strisce arancioni così ricavate tra i partecipanti alla cerimonia i quali procedono poi a legarle intorno agli alberi. Culmina con questo gesto il rito della consacrazione degli alberi, il buad pa, diffusosi nella Thailandia settentrionale dalla fine degli anni Ottanta. La foresta viene consacrata come si consacrano i novizi nelle comunità monastiche Therevadin. Si intende ricordare, come scrive Amalia Rossi, che gli alberi «sono sacri, come la persona di un monaco» e che vanno protetti i boschi «minacciati dalla rapida modernizzazione e dall’estrazione intensiva delle risorse naturali».
Chi conosce la storia del Buddha non è sorpreso. Nato tra gli alberi, il Risvegliato ebbe la sua prima spontanea trance meditativa mentre era seduto sotto un albero, sotto un albero si illuminò, insegnò spesso sotto gli alberi e morì tra due alberi. David R. Loy ricorda la storia tramandata nel Vinaya, il codice monastico, dello spirito di un albero apparso per lamentarsi del monaco che lo aveva abbattuto. In risposta, «il Buddha proibì ai membri del sangha di danneggiare gli alberi e i cespugli», e vietò anche «di tagliare i rami, raccogliere i fiori e strappare le foglie verdi».
La consacrazione della foresta descritta da Amalia Rossi e l’accento sul tema arboreo nel Buddha posto da David R. Loy sono espressione del crescente interesse per l’approccio buddhista alla questione ambientale. Per il titolo della sua monografia edita da Meltemi, l’antropologa italiana ha scelto il termine Eco-buddhismo. L’analogo Ecodharma è stato adottato dallo studioso e scrittore americano per il titolo del suo volume del 2019, appena pubblicato in Italia da Ubiliber. Profondamente diversi l’uno dall’altro, i due libri si completano nell’offrire un panorama vasto e profondo dell’ecologia buddhista.
Il volume della quarantaduenne Amalia Rossi è di interesse per ogni lettore anche se adotta lo stile e la struttura della ricerca etno-antropologica. Il libro del settantaquattrenne David R. Loy mira al grande pubblico. È semplice, chiaro, spiega e ripete i concetti fondamentali, ricorre a numerosi aforismi che colpiscono l’attenzione. La ricerca dottorale e post-dottorale della studiosa italiana è puntuale, dettagliata, analitica, definita nel tempo e nello spazio delle ricerche etnografiche da lei condotte tra il 2007 e il 2015 nella provincia nord-thailandese di Nan, al confine con il Laos. David R. Loy riassume nel suo Ecodharma decenni di ricerca, scritti e iniziative che riguardano nel loro insieme i buddhismi, al plurale, nelle loro varie traiettorie storiche e geografiche.
Per l’antropologa le «declinazioni ecobuddhiste dell’ambientalismo thailandese» meritano di essere osservate per comprendere l’incontro e lo scontro tra i poteri e le istituzioni locali e internazionali da una parte e dall’altra le «istanze radicali» delle comunità etniche di montagna vittime dei progetti di sviluppo rurale e di conservazione ambientale. Osservare e interpretare Monaci della foresta e paesaggi contesi in Thailandia, come recita il sottotitolo, significa misurarsi con ambiguità e contraddizioni di attori dai molti volti, di vittime e beneficiari delle politiche ambientali statali, delle strategie del business e delle ong, delle traiettorie di monaci fedeli al corpo monastico nazionale e al re, e al contempo vicini alle comunità locali.
Se nel suo lavoro Rossi approccia il buddhismo dall’esterno, tutto interno è invece l’approccio di Loy, praticante zen fin dal 1971, per vent’anni in Giappone, dal 1988 egli stesso maestro. Oggi residente in Colorado, a poca distanza dal centro di Ecodharma che ha contribuito a fondare, l’autore propone Insegnamenti buddhisti per affrontare la crisi ecologica, come indica il sottotitolo del suo volume. Ciò significa per Loy distillare principi utili al mutamento di civiltà necessario per la sopravvivenza della specie e del pianeta, ma anche interrogare i buddhisti stessi, oltre l’individualismo dei praticanti occidentali e l’acquiescenza al potere degli orientali, oltre il buddhismo dell’altro mondo, teso al nirvana, e il buddhismo di questo mondo, teso al mero risveglio personale.
Per quanto diversi, i due autori condividono l’urgenza di una parola di verità e di una scelta di campo. Questo è ciò che Rossi ha cercato sul terreno, nel rituale della consacrazione degli alberi: «Anch’io mi unii a loro, annodando a mia volta al fusto di un giovane albero una striscia di tessuto arancione». L’antropologa ha anzitutto condiviso l’emozione della cerimonia: «Ero immersa in uno scambio ininterrotto di sorrisi e sussurri compiaciuti, sguardi che brillavano per il senso di coinvolgimento morale ispirato dalla cerimonia, che pareva indiscutibilmente buona, giusta, bella». Il confronto con gli attori, poi, ha fatto emergere i contrasti. Lo sciamano che ha partecipato alla cerimonia insieme ai monaci buddhisti ha rivendicato i propri poteri e il proprio ruolo: «Gli spiriti, più che il Buddha, sono i veri protettori della foresta». Dal canto loro, dietro il consenso di facciata, i contadini locali si sono mostrati inquieti: «Se noi piantiamo la foresta sulla terra che normalmente utilizziamo per coltivare, poi ci dovremo spostare da un’altra parte e non potremo più vivere qui».
All’intreccio di interessi e di fattori messo in luce da Amalia Rossi, David R. Loy risponde con una sfida alle tradizioni buddhiste. Al di là della tradizione Mahayana da cui proviene, il bodhisattva è oggi sempre più interpretato come un Buddha in formazione che non si limita alla propria illuminazione, ma si vota alla liberazione di ogni anima vivente in nome dell’interconnessione e dell’interdipendenza del mondo.
In tal senso, per l’autore americano, il sentiero del bodhisattva può diventare il sentiero dell’«ecosattva», ovvero dell’essere risvegliato all’unità organica della biosfera quale «comunità di soggetti». Come scrive Loy, «la crisi ecologica ci sta facendo sbattere il naso sul punto principale che ancora cerchiamo di ignorare: che ci piaccia o no, nel senso più fondamentale tutti noi siamo un tutt’uno». In risposta a una crisi ecologica che è in fondo una «crisi spirituale», il percorso dell’ecosattva riconcilia meditazione e attivismo, e mette i principi fondamentali del dharma, armonia e legge dell’universo, al servizio dell’umanità nella sfida epocale che si prospetta. Tra le tante citazioni, la migliore sintesi della proposta di Loy è allora quella del maestro vietnamita Thich Nhat Hanh, morto novantacinquenne il 22 gennaio scorso (del quale Garzanti sta per pubblicare, sullo stesso tema, Lo zen e l’arte di salvare il pianeta): «Il Buddha ha raggiunto il risveglio come singolo individuo. Ora, per fermare il corso della distruzione, abbiamo bisogno di un’illuminazione collettiva».