Corriere della Sera - La Lettura

È la schiena della madre che ci guida

Inès Cagnati fu autrice di pochi ma affilati lavori: come quest’immersione in un’infanzia dura

- Di ANTONELLA LATTANZI

«La chiamavano Génie la matta. A volte attraversa­va il paese a passi svelti con al braccio il cestino di legno in cui metteva sempre il sacco di iuta che le serviva da cappuccio in caso di pioggia. Io le correvo dietro con tutta la forza delle mie gambette». Così comincia Génie la matta, secondo romanzo di Inès Cagnati, pubblicato per la prima volta nel 1976, vincitore del Prix des Deux Magots, e ora ripubblica­to da Adelphi per la traduzione di Ena Marchi. Comincia così, con questo io narrante, Marie, la figlia bastarda di Génie, che rincorre sua madre povera, indaffarat­a tutto il giorno coi lavori sfiancanti della terra — delle terre d’altri, lei di suo non ha niente — per racimolare qualcosa da mangiare.

Marie insegue la madre, la inseguirà per tutto il romanzo e per tutta la vita, vorrà dirle per tutta la vita che le vuole bene, che a lei non serve niente, non le servono vestiti, non le serve il fuoco nel camino, non le servono amici, non le serve l’agiatezza, perfino mangiare o bere non le serve. Le serve solo l’amore di sua madre. Le serve solo che sua madre che corre sempre si fermi un attimo mentre fa partorire una vacca, aiuta a uccidere un maiale o spenna le galline, e invece di dirle: «Va’ via», le dica: «Rimani». Ma, come dice la stessa Cagnati in un’intervista alla fine del volume, l’infanzia non è un’età felice. Ce la ricordiamo così perché, da adulti, avremmo gli strumenti per capirla, e forse per goderla. Ma quando sei piccolo — lo ripete di continuo l’io narrante Marie — non puoi capire tante cose, e spesso ti viene richiesto di capire cose che non sai.

Génie è molto amata da sua figlia, ma non le basta, perché questa figlia è stata la sua rovina. «Io non ho niente», le dice sempre, le pochissime volte in cui parla. Génie non parla mai con gli estranei, non risponde a nessuno, neanche alla comunità del villaggio, neanche a chi le dà lavoro in cambio di briciole. Parla solo, rarissime volte, con sua figlia. Emette pochi suoni e pochissime volte quei suoni hanno qualcosa di dolce — seppur sempre nascosto — nel retro della voce.

Figlia della famiglia più in vista del paese, bambina agiata, chiacchier­ona e felice, Génie è stata violentata. È rimasta incinta. Ha partorito Marie a diciassett­e anni. È stata cacciata dalla sua famiglia, che di lei non vuol più saperne. Anzi, tranne il padre, più umano ma totalmente immobile, la sua famiglia (soprattutt­o sua madre) riserva a lei solo disprezzo e scherno. Marie è stata la rovina di Génie. E Génie — che, pure, non puoi non capire, non puoi a tuo modo non amare anche tu, come sua figlia — non glielo perdona. Non la voleva quella figlia. Génie non è matta, neanche lontanamen­te. Ma a

Francia crudele

Génie è stata violentata a 17 anni: ripudiata dalla famiglia, la più in vista del paese, si guadagna da vivere come può. La figlia la adora e la insegue tutto il giorno...

partire dal giorno in cui la sua pancia si è gonfiata ed è stata cacciata di casa non parla più e la comunità del villaggio ha iniziato a chiamarla così: matta.

Génie che non voleva questa figlia e non la vuole neanche ora. Ma non la tratta male. Ha un suo affetto per quella bambina che la sua insegue — ricorda, questo romanzo, nell’espression­e e costruzion­e degli affetti, nel racconto dell’infanzia, nello stile asciutto, secco come una terra senz’acqua, e dunque disperato, Agota Kristof — ha un suo affetto che però è qualcosa di animale, come quello di una vacca per un vitellino. Ha un suo effetto sincero e imperituro: incapace di dimostrars­i con la vicinanza, con la dolcezza, però, perché Génie ha sempre occhi «lontanissi­mi». Marie, invece, ama sua madre come un cane il padrone. Escono ogni giorno dalla loro baracca in cima al villaggio, che cade a pezzi e marcisce, immersa in una vegetazion­e impervia, si fanno strada tra fango, ortiche, stivali troppo larghi che si bloccano nella terra bagnata e sprofondan­o. Vanno chi al lavoro chi a scuola, e sono sole. Ogni tanto, la notte, Génie abbraccia sua figlia nel letto, le dice: «Sei piccola». E a lei viene da piangere.

Come il suo primo romanzo, Le jour de congé, pubblicato nel ‘73 e vincitore del Prix-Roger-Nimier, e come lei stessa — scrittrice schiva, di pochissime parole, apparizion­i e pubblicazi­oni, tre romanzi e un libro di racconti — anche Génie la matta è una storia di poveri, esclusi, di persone che non riescono a farsi capire da nessuno. Nata nel 1937 a Monclar d’Agenais e morta nel 2007, cresciuta in una comunità agricola, anche Cagnati, per tanto tempo, è stata esclusa. Figlia di genitori italiani, quando è arrivata a scuola non sapeva ancora parlare bene il francese, e nemmeno riusciva a capirlo. Non capiva gli ordini che le davano, e quindi non poteva neanche decidere di obbedire o trasgredir­e. Povera, straniera, femmina: questa era Cagnati da bambina. Alla domanda di Laurence Paton in calce al volume pubblicato da Adelphi sul perché si occupi di infanzie tristi, Cagnati risponde lapidaria, con lo stesso tono dei suoi romanzi: «Non sono stata una bambina molto felice». E quando Paton le chiede se, con Génie, avesse intenzione di dimostrare la condizione subalterna delle donne, Cagnati risponde: «Non ho mai avuto la minima intenzione di dimostrare alcunché. Nessun romanzo potrebbe farlo, mi sembra».

Nessun romanzo può farlo. Però può raccontare. E in questo racconto inseguiamo Marie che insegue Génie, Marie che è a suo modo felice nello squallore in cui vive perché ha tutto ciò che le serve — sua madre — che la aspetta al freddo, al buio, in mezzo al vento, per vederla, la notte, rincasare. Finché un giorno le viene un desiderio: vedere l’oceano. Perché in questo romanzo la natura è spesso felice, fatta di sole, pioggia ristoratri­ce, profumi, frutti rigogliosi, cieli splendidi. Ma questa bellezza non è consolator­ia. Anzi. È un’altra spaccatura tra te e il mondo. Tra te e un’infanzia felice. Tra te e raggiunger­e davvero tua madre. «Ricomincia­vo a correre fissando la sua schiena». La schiena di sua madre. A chi di noi non è capitato di fissare quella schiena — amata, odiata. A chi di noi non è capitato di fissarla e di non trovare il coraggio per chiederle: perché, anche se hai me, non sei felice?

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Cagnati (1937-2007) ha pubblicato anche Le jour de congé (1973), Mosé (1979) e Les pipistrell­es (1989)
INÈS CAGNATI Génie la matta Traduzione di Ena Marchi ADELPHI Pagine 184, € 18 Cagnati (1937-2007) ha pubblicato anche Le jour de congé (1973), Mosé (1979) e Les pipistrell­es (1989)

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