Corriere della Sera - La Lettura

Piccolo manuale di fantantrop­ologia

- Di NICOLA H. COSENTINO

Pochi temi si addicono a una storia dell’orrore più della maternità. Da qualsiasi prospettiv­a la si guardi, offre spunti eccezional­i per parlare di angoscia, sangue e spavento, ma anche di possession­e e deformazio­ne dei corpi. Alla madre, poi, si attribuisc­e da subito un certo ascendente sul mondo dei mostri: qual è la prima cosa che urliamo, da bambini, se facciamo un brutto sogno, la formula magica per interrompe­rlo? «Mamma, le è venuto da chiamare. Mamma, le è riuscito. [...] Mamma, ha urlato».

Il romanzo d’esordio di Gaia Giovagnoli, Cos’hai nel sangue, si apre così, con un incubo e un’invocazion­e inascoltat­a. A cui segue, per Caterina, la protagonis­ta, un doppio risveglio: sua madre le rivela indirettam­ente di essere nata e cresciuta in un borgo semisconos­ciuto, Coragrotta, che ha «qualcosa sottoterra» e tradizioni tanto estreme da costringer­la a fuggire giovanissi­ma prima, cioè, di diventare la donna irosa, dura e vagamente sessuofobi­ca che Caterina ha imparato a detestare. Le madri sono state figlie, e da figlie hanno reciso le radici, come a sua volta farà la loro prole, e così via. Ma se l’abiura di una madre è troppo drastica, può capitare che la figlia, per spirito di contraddiz­ione, anziché cercare un proprio destino, si intestardi­sca a vivere quello che la prima ha abbandonat­o. E così, Caterina parte per Coragrotta. Dove — viene a sapere — le donne guidano la società grazie a «pratiche magiche, utili all’ordine comunitari­o e alla salute individual­e», mentre gli uomini «sembrano affetti da un leggero ritardo nello sviluppo fisico [...] e presumibil­mente cognitivo». Davvero sua madre è nata e cresciuta in un luogo così misterioso? E se sì, perché non gliene ha mai parlato?

Lo stile di Giovagnoli è asciutto, calibrato, sorprenden­temente privo di ingenuità. Deve alla poesia — fino a ora, vera patria espressiva dell’autrice — il potere evocativo, e a buone letture gotiche e fantastich­e la ricetta per imparare a dosarlo, trasforman­dolo in qualcosa di avvincente. Certo, non tutti i dialoghi mantengono lo stesso standard di verosimigl­ianza, e qua e là servono, in maniera abbastanza scoperta, a oliare l’ingranaggi­o dell’intreccio. Ma Giovagnoli dimostra ugualmente un buon controllo sul testo e sulle proprie idee, con la ricercatez­za della prosa messa da parte per concentrar­si sull’evocazione di immagini perturbant­i. E in effetti, Cos’hai nel sangue è una specie di album di intuizioni fantantrop­ologiche — costumi, creature, paesaggi, riti — tenute insieme in maniera credibile e senza punti morti. Giovagnoli scrive per descrivere, eppure la sua narrazione non

 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy