Corriere della Sera - La Lettura
Il ritorno di Jonasson tra spettri veneziani
Dopo oltre dieci anni l’attrice, moglie di Strehler, in un teatro italiano. Diretta da Rimas Tuminas
Da oltre dieci anni, Andrea Jonasson non metteva più piede su un palcoscenico italiano, dopo avere vissuto per 30 anni le magie dell’amato marito Giorgio Strehler che l’ha portata per mano, con incredibili slalom, attraverso le parole di Brecht, Lessing, Pirandello. Ora, in una Venezia nebbiosa travestita da Norvegia («mi fermo solo a dare da mangiare ai piccioni, il resto è solo casa-teatro»), è alle ultimissime prove di Spettri. Il classico di Ibsen, che aveva già recitato a Vienna 12 anni fa, oggi è diretto da un regista lituano (fratello geografico di Nekrosius) di chiara fama, Rimas Tuminas nella riduzione di Fausto Paravidino che aveva avuto l’idea, poi accantonata, di moltiplicare i piani temporali della vicenda immaginando un pezzo di futuro. Per ora 4 recite al veneziano Teatro Goldoni, dal 3 al 6 febbraio, poi in autunno il produttore Teatro Stabile del Veneto organizzerà una tournée che arriverà anche a Milano.
Il cuore batte come non mai alla grande attrice tedesca, equamente diviso tra la nostalgia del suo grande maestro e la passione per questa nuova avventura che la porta in un altro mondo teatrale in cui la scoperta dell’attore è lenta, calcolata e progressiva: «Sono felice di tornare a lavorare in Italia, con un regista per cui provo una curiosa, stupita ammirazione, un uomo che ama il metodo Stanislavskij e preferisce un palcoscenico sgombro e quasi buio in cui noi attori, con il nostro corpo, dobbiamo cercare di esprimere tutto ciò che questi infelici, tormentati personaggi si portano dentro: come una radiografia della coscienza in cui c’è solo tristezza».
In un dramma borghese o commedia sociale del 1881 in cui ogni casa di bambola è definitivamente sepolta, Jonasson vestirà un abito d’epoca, lungo e stretto, ma con la sua foresta di capelli rossi al vento, segno di libertà (in alto durante le prove): «La mia signora Alving ha sofferto molto, è stata umiliata e offesa, ha un figlio che ama follemente ma nato da un marito che non le ha fatto che torti, porcherie con altre donne, che rischiano di ricadere proprio sul figlio Osvald».
Il regista parla molto di Ibsen ed entra nella sua psicologia, ma racconta anche della Russia e di Stalin e di spettacoli provati per mesi. «Ha messo in scena Guerra e pace a Mosca — dice Gianluca Merolli, bravo attore (anche regista) che ha quel ruolo di figlio che per primo recitò Ermete Zacconi — e io mi trovo benissimo con lui e con Jonasson, donna e attrice di incredibile talento. La battuta cult del teatro, “Mamma voglio il sole”, è rimasta».
La lettura è quella edipica, classica. Aggiunge Jonasson: «È sempre interessante ascoltare Tuminas, anche se è difficile rendere visibili le nostre nevrosi, il nostro infelice passato. Se penso a Giorgio? Ma certo, ogni minuto. Anche il regista mi ha parlato di lui. Quando andò a vedere il Campiello diretto da Strehler ne fu talmente entusiasta che rubò dal palco alcuni fiocchi di quella magnifica neve, se li mise in tasca e li usò per un suo spettacolo, come segno d’una genialità condivisa».
Spettri ebbe in Italia varie edizioni, una storica performance di Proclemer e Albertazzi, una Franca Nuti straordinaria, una rilettura di Leonardo Lidi e uno spettacolo di Ronconi tutto in una serra, la temperatura più alta mai registrata a un Festival di Spoleto. E fantasmi ovunque sparsi per casa. «In fondo lei è vittima di una grande bugia — dice Jonasson — che convive con i suoi spettri e solo alla fine, dopo avere sopportato e subìto tutto, ha il coraggio di confessare a sé e al mondo la verità su quel marito vizioso e ubriacone che ha messo in pericolo l’equilibrio della famiglia all’ombra di un incesto. Eppure la signora per anni ha sfoderato un finto sorriso e ha spedito il figlio all’estero. Una parte difficile, un lavoro complicato ma molto nutriente per l’esperienza di un teatro diverso e interiorizzato, sgombro di scene, certo diverso da quello strehleriano, ma proprio per questo l’esperienza mi appassiona: lavorare sodo con Tuminas mi piace moltissimo».