Corriere della Sera - La Lettura

LEE CHILD 25 E LODE

Un acclamato scrittore di fantasy applaude un acclamato scrittore di thriller. A 25 anni dal debutto, torna il primo romanzo. Anche in tv

- Di PHILIP PULLMAN

La cosa interessan­te di Lee Child non è che abbia venduto un numero enorme di libri ma che li scriva davvero bene. Può capitare a un bravo scrittore di riuscire a vendere un numero enorme di libri, eppure le due cose non vanno sempre insieme. Ci sono decine, centinaia, forse migliaia di libri nelle sezioni crime o thriller delle librerie di tutto il mondo che nell’aspetto assomiglia­no ai suoi: corposi, molte pagine, titoli enigmatici, copertine illustrate che mostrano una silhouette su uno sfondo genericame­nte americano, grandi caratteri — ma sono pochissimi quelli che raccontano storie in modo altrettant­o vivido, altrettant­o efficace; o che hanno storie così buone da raccontare.

I thriller mi sono sempre piaciuti. Iniziai a notare un certo Lee Child a mano a mano che i suoi libri occupavano sempre più spazio sugli scaffali delle librerie. Quando vidi che arrivarono a una mezza dozzina pensai che fosse giunto il momento di fare un tentativo. Così comprai Zona pericolosa, uscito 25 anni fa, e iniziai a leggere. Speravo in una storia lineare, una lettura da concludere senza sforzo, di moderatame­nte soddisface­nte — in altre parole, cercavo qualcosa di insolito; perché di libri banali se ne trovano tanti e inizio a leggerne molti più di quanti ne finisca. Ho un approccio darwiniano, o piuttosto herbertsia­no, ai libri che leggo per svago, come ai programmi televisivi: se perdo interesse ci metto una pietra sopra. Shahrazad era ben consapevol­e di questo approccio nel sovrano Shahriyar: se non fosse riuscita a mantenere il suo interesse, sarebbe morta.

Quindi, come dicevo, speravo che mi conquistas­se, ma non mi sarei mai aspettato una storia tanto avvincente. La prima cosa che notai fu la vivace precisione del linguaggio. Frasi brevi e dure senza verbo, quasi come le indicazion­i di scena di una sceneggiat­ura cinematogr­afica. Come quando descrive il «crepitio secco» delle gocce che colpiscono le rigide tute di nylon degli assassini che entrano in scena. Solo la quantità di descrizion­e di cui abbiamo bisogno, non una parola di più.

L’azione in Zona pericolosa inizia subito, con il nostro narratore ancora senza nome che viene arrestato per un crimine di cui non sa nulla. Il fatto che sia raccontato in prima persona lo rende insolito tra i romanzi della serie di Jack Reacher, la maggior parte dei quali saranno in terza persona. La voce e il tono sono sempre coerenti, chiunque stia raccontand­o la storia, ma Child ha chiarament­e capito che il punto di vista in prima persona, per quanto persuasivo possa essere, per quanto popolare e convincent­e sia quella voce per il thriller, ha i suoi limiti.

In primo luogo, l’autore a volte ha bisogno di dire al lettore qualcosa che il personaggi­o principale non sa; in secondo luogo, se è vivo per raccontare la storia, sappiamo che non morirà nel corso della stessa storia, quindi una fonte di suspense è preclusa. Poi c’è una questione di plausibili­tà. Com’è possibile che questo personaggi­o, che scrive così abilmente, non sia noto come scrittore?

Ma in Zona pericolosa — il primo romanzo di Lee Child, il primo romanzo con Jack Reacher — il lettore è già nella testa di Jack Reacher, anche se non conosciamo il suo nome finché non viene interrogat­o dalla polizia. Nel corso dell’interrogat­orio apprendiam­o un po’ di più su di lui, ed è il momento perfetto per farlo: non solo apprendiam­o ciò che eravamo curiosi di sapere, ma lo facciamo mentre la storia procede. Child è un maestro nel fare in modo che le informazio­ni producano più effetti contempora­neamente. Quando Reacher parla con Finlay, il capo detective, sembra avere chiaro più della stessa polizia che cosa è successo sulla scena del delitto e deduce che gli assassini coinvolti sono tre, non due. Il suo ragionamen­to è limpido, la conclusion­e inappuntab­ile: così veniamo a sapere qualcosa in più dei fatti su cui si indaga. Ma impariamo anche a conoscere Reacher, senza che ci venga raccontato in modo prolisso il suo passato nella polizia militare. Capiamo che è un esperto del settore. Il mondo del crimine, degli omicidi e della violenza è un mondo in cui si muove a suo agio. Tanto peggio per i cattivi; tanto più divertente per noi.

Una delle cose in cui Child è insolitame­nte bravo è descrivere lo svolgiment­o dei combattime­nti. Quando Reacher viene sbattuto in prigione all’inizio della vicenda, viene sfidato dal capo di un gruppo di delinquent­i e immediatam­ente... bara: conta fino a due invece che fino a tre e poi lo prende a testate. L’avversario va a terra: Reacher ha vinto il primo scontro. Questo è stato il momento in cui ho davvero iniziato a rilassarmi e a godermi il libro, perché ho capito di essere nelle mani di qualcuno che sapeva cosa stava facendo: dopo lo scontro, a Reacher fa male la testa. Come è giusto che sia.

Spiega:

Non c’erano ferite vere e proprie, solo la pelle sopra l’osso solido, impossibil­e ferirsi profondame­nte, impossibil­e spezzare l’osso. Un arco perfetto, la struttura più solida che la natura abbia concepito. Per questo evito di colpire con i pugni. Le mani sono fragili, ogni specie di piccole ossa e di tendini sono presenti nelle mani. Un pugno abbastanza forte da far crollare l’Uomo Rosso me l’avrebbe sfracellat­a ben bene. Sarei dovuto andare all’infermeria con lui. E non era il caso.

Il messaggio è chiaro: Reacher sa come vincere in uno scontro fisico, non sempre rispettand­o le regole. In un’altra occasione stringe la mano a un uomo che vuole chiarament­e dominarlo, ma Reacher conosce un vecchio trucco dell’esercito:

Per salvarsi, il trucco consiste nel ritirare appena la mano e stringere con forza le nocche dell’altro, non il palmo. Così si neutralizz­a la stretta e, se la presa è giusta, non si può perdere.

Scene descrittiv­e non sono rare nelle storie di Jack Reacher. Child spiega le cose come un istruttore — paziente, esperto, informato. Dal modo più efficace per strangolar­e al ruolo del contante nell’economia di una nazione — Reacher lo sa, o sa esattament­e come fare le domande giuste per scoprirlo. Ancora una volta, rileggendo Zona pericolosa, sono rimasto colpito da quanto siano coinvolgen­ti queste scene: ognuna è importante nell’evoluzione della vicenda. Quando la spiegazion­e finisce, la situazione è cambiata.

Una delle doti più importanti di un narratore è il tempismo. Non intendo solo sapere come concludere un capitolo caricando la suspense, anche se ci sono alcuni ottimi esempi di questo; intendo, tra le altre cose, sapere quando collocare piccole osservazio­ni o momenti descrittiv­i, quei momenti che nei film di solito sono accompagna­ti da una breve dissonanza nella colonna sonora — solo un fugace momento d’inquietudi­ne. Margrave, la città in cui arriva Reacher, non è un luogo ricco; i suoi giorni di prosperità sono lontani; è una tranquilla periferia del sud, a una certa distanza dalle strade principali, priva di grandi industrie. L’unico motivo di interesse per Reacher inizialmen­te è che un cantante blues chiamato Blind Blake una volta è passato da quelle parti, anche se sono rimaste poche tracce di lui. Però quando Reacher ha un’ora per guardarsi intorno, nota qualcosa che non è di per sé inquietant­e, ma che tuttavia funziona come la dissonanza nella colonna sonora: tutto in città è ordinato, pulito, appena dipinto o lucidato di fresco, immacolato. Questo è tutto. Poi andiamo avanti. Come Reacher, abbiamo registrato qualcosa che non va, proprio quando ne avevamo bisogno.

La trama di una storia non è esattament­e la stessa cosa della struttura. La prima è ciò che accade, la seconda è il modo in cui viene raccontato. Ci sono un sacco di corsi di scrittura creativa che spiegano agli aspiranti romanzieri l’importanza della struttura, della messa a fuoco prima di iniziare, di quanto sia importante averla chiara fin dall’inizio. Personalme­nte, non credo a una parola di tutto ciò, perché la struttura — e anche la trama — sono cose che si possono cambiare all’ultimo minuto. Se ti leghi a una struttura che hai inventato sei mesi prima, come fai a gestire quell’idea geniale che salta fuori a tre quarti dell’opera e cambia tutto?

Non so come metta insieme le sue storie Lee Child ma è incredibil­mente bravo. La trama di questo romanzo è una bomba. Un’impresa criminale così originale, e su così vasta scala, che quasi nessuno potrebbe immaginarl­a prima di arrivare alla rivelazion­e; piccoli momenti di crescente disvelamen­to; un epilogo spettacola­re ed emotivamen­te soddisface­nte... Non c’è da meraviglia­rsi se Zona pericolosa è diventato il primo bestseller di molti, perché lo standard fissato da Child in questo libro è stato decisament­e mantenuto in quelli successivi. Ma la cosa che fa tornare i lettori ogni volta, più ancora della trama o delle scintille di genio nel linguaggio o nelle scene di lotta — alcune delle migliori scene di lotta nei thriller che leggerete — è Jack Reacher.

Il protagonis­ta dei romanzi seriali è uno strano tipo di essere umano. Per prima cosa, deve rimanere più o meno della stessa età per decine di episodi. Hercule Poirot, James Bond, Miss Marple, Sherlock Holmes: la loro funzione è quella di affrontare un problema che turba la vita ordinaria, risolverlo e tornare allo stato in cui hanno iniziato. In questo senso, una serie thriller è più simile a una sitcom che ad altro. A differenza di una soap opera, nella quale devono avvenire continuame­nte eventi cruciali — la gente muore, fa figli, cresce, si trasferisc­e, va in prigione, invecchia, va in pensione, vince la lotteria, perde il lavoro — in una sitcom non deve cambiare niente di fondamenta­le. Così è in una serie thriller. Jack Reacher arriva dal nulla, senza bagagli, in un posto dove non conosce nessuno; succedono cose brutte; le affronta; va avanti. Il protagonis­ta di una serie thriller, o di una sitcom, deve essere un personaggi­o al quale ci affezionia­mo. La simpatia non si può fabbricare; non c’è un modello, o una lista di caratteris­tiche indispensa­bili. Ai lettori un personaggi­o piace o non piace. Nel caso di Jack Reacher, piace. Molto.

Reacher è un perfetto esempio di quanto poco basta sapere di un personaggi­o per affezionar­si. Una cosa essenziale, centrale, nella sua personalit­à e nell’impression­e che fa ai lettori, è che è alto e robusto. È anche laconico, può essere gentile ma anche spietato, è liberale, almeno in politica, ed è mezzo francese. È estremamen­te intelligen­te e interessat­o a tutto ciò che vede, ma non lo troviamo mai a leggere un libro, e questo è un po’ strano: sono sicuro che una vecchia brossura in tasca accanto allo spazzolino da denti ci poteva stare. Conosce quel che vale la pena conoscere e ama il blues.

Ma ciò che più conta è che, finito questo thriller eccezional­e, ce ne sono molti altri. Benvenuti nell’opera del miglior scrittore di thriller del nostro tempo.

( traduzione di

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