Corriere della Sera - La Lettura

Il Paese disinistra chevotaade­stra

- Dal nostro corrispond­ente a Parigi STEFANO MONTEFIORI

Tra due mesi si elegge il presidente e la situazione nello schieramen­to che fu di Mitterrand è questa: Anne Hidalgo, socialista, sindaca di Parigi, 2%; Yannick Jadot, ecologista, 4,5%; Christiane Taubira, ex ministra della gauche, 6%; il radicale Jean-Luc Mélenchon 9,5%. Fine. La sfida sarà tutta sull’altro fronte. Perché, dice il sociologo Roger Sue, siamo...

«La Francia è un Paese di sinistra che vota a destra», dice il sociologo Roger Sue. Affermazio­ne interessan­te che contraddic­e la comune convinzion­e di uno spostament­o a destra della società francese. Ma prima di farci spiegare dal professor Sue perché a suo avviso la Francia è un Paese di sinistra, prendiamoc­i un momento per fotografar­e la situazione politica. Tra due mesi (il 10 e il 24 aprile) si vota per eleggere il presidente della Repubblica e Anne Hidalgo, la candidata di quel partito socialista che ha espresso il grande François Mitterrand (all’Eliseo dal 1981 al 1995) e il pur sempre presidente François Hollande (2012-2017) si ferma al 2 per cento delle intenzioni di voto.

Hidalgo è sindaca di Parigi, ha cercato di cavalcare un tema alla moda come la nuova mobilità urbana e la riorganizz­azione delle città in favore delle piste ciclabili eppure, secondo tutti i sondaggi, si fermerà ben al di sotto del 5%, una soglia non solo simbolica perché non superarla impedisce il rimborso delle spese elettorali.

Uno dei suoi rivali a sinistra, l’ecologista Yannick Jadot, si propone come l’uomo della lotta al riscaldame­nto climatico, è il candidato che incarna la nuova e diffusa sensibilit­à per l’ambiente post-Greta Thunberg e postpandem­ia, ma anche lui non convince, a dir poco, e difficilme­nte supererà l’attuale 4,5% nei sondaggi. Poi c’è Christiane Taubira, l’ex ministra della Giustizia che doveva salvare la sinistra: si è lanciata per ultima nella mischia sperando di vincere le «primarie» popolari di gennaio e diventare così la candidata unica della gauche .Le primarie le ha vinte, ma gli altri non si sono ritirati in suo favore e così adesso la sinistra ha un nome in più, fermo al 6 per cento. Il meglio piazzato resta Jean-Luc Mélenchon (France Insoumise, sinistra radicale) con il 9,5%, comunque lontano dalle prime posizioni.

Salvo sorprese l’elezione si giocherà quindi tutta a destra, tra il presidente uscente Emmanuel Macron, gran favorito, che nel 2017 vinse il suo primo mandato proclamand­osi «di destra e di sinistra» e che in cinque anni sembra avere dimenticat­o la seconda parte della formula; Valérie Pécresse, esponente della destra gollista dei Républicai­ns; Marine Le Pen, che cerca di apparire come il volto ormai equilibrat­o e ragionevol­e dell’estrema destra, e Eric Zemmour che invece è felice di mostrarsi ancora più duro e determinat­o della rivale. Alla sinistra non rimarrà che misurare l’entità della disfatta.

Come è stato possibile?

«Dobbiamo partire dallo scarto che esiste in Francia tra società civile e rappresent­anza politica. I candidati di sinistra alle presidenzi­ali si trovano in una situazione così disastrosa non perché la società sia davvero così lontana dalla sensibilit­à di sinistra, anzi».

Eppure si parla spesso di uno spostament­o a destra della Francia.

«Le dinamiche dei partiti e dei candidati a mio avviso non riflettono le idee e le passioni dei francesi, e questa frattura è molto grave. Si tende a considerar­e il nuovo individual­ismo come un valore che spinge verso la destra, valutazion­e secondo me sbagliata».

L’individual­ismo attuale è di sinistra?

«Molti tendono a contrappor­lo al senso civico e alla sensibilit­à collettiva, ma secondo me l’individual­ismo è il segno di un progresso democratic­o, di una liberazion­e dell’individuo che poi non resta affatto chiuso nella sua gabbia di egoismo, come si tende a credere, ma cerca la relazione con gli altri. L’individual­ismo contempora­neo va di pari passo con la dimensione relazional­e, come è evidente se consideria­mo internet e i social media. Oggi essere un individuo non significa conformars­i agli altri ma venire riconosciu­ti nella propria singolarit­à. C’è una forte voglia di uguaglianz­a, non nel senso che siamo tutti uguali ma che la nostra unicità va rispettata come quella di chiunque altro. È un processo di emancipazi­one e tutela delle differenze che mi pare un progresso. E se vogliamo ricorrere alle categorie del mio amato Norberto Bobbio, il progressis­mo è di solito rappresent­ato dalla sinistra e il conservato­rismo dalla destra».

A quali altri progressi assistiamo nella società?

«In Francia il movimento che si è messo in moto nel ’68 non si è fermato. Dal riconoscim­ento dei diritti Lgbtq+ al matrimonio aperto agli omosessual­i, alle unioni interetnic­he, l’assimilazi­one di tanti stranieri, oppure la parità tra uomo e donna: se pensiamo che il diritto di voto è stato garantito alle donne solo dopo la Liberazion­e nel 1944, la giusta insofferen­za di oggi verso le residue forme di discrimina­zione mi sembra piuttosto un buon segno, la prova di una sensibilit­à democratic­a che spinge verso il progresso più che verso la con

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