Corriere della Sera - La Lettura
Il Paese disinistra chevotaadestra
Tra due mesi si elegge il presidente e la situazione nello schieramento che fu di Mitterrand è questa: Anne Hidalgo, socialista, sindaca di Parigi, 2%; Yannick Jadot, ecologista, 4,5%; Christiane Taubira, ex ministra della gauche, 6%; il radicale Jean-Luc Mélenchon 9,5%. Fine. La sfida sarà tutta sull’altro fronte. Perché, dice il sociologo Roger Sue, siamo...
«La Francia è un Paese di sinistra che vota a destra», dice il sociologo Roger Sue. Affermazione interessante che contraddice la comune convinzione di uno spostamento a destra della società francese. Ma prima di farci spiegare dal professor Sue perché a suo avviso la Francia è un Paese di sinistra, prendiamoci un momento per fotografare la situazione politica. Tra due mesi (il 10 e il 24 aprile) si vota per eleggere il presidente della Repubblica e Anne Hidalgo, la candidata di quel partito socialista che ha espresso il grande François Mitterrand (all’Eliseo dal 1981 al 1995) e il pur sempre presidente François Hollande (2012-2017) si ferma al 2 per cento delle intenzioni di voto.
Hidalgo è sindaca di Parigi, ha cercato di cavalcare un tema alla moda come la nuova mobilità urbana e la riorganizzazione delle città in favore delle piste ciclabili eppure, secondo tutti i sondaggi, si fermerà ben al di sotto del 5%, una soglia non solo simbolica perché non superarla impedisce il rimborso delle spese elettorali.
Uno dei suoi rivali a sinistra, l’ecologista Yannick Jadot, si propone come l’uomo della lotta al riscaldamento climatico, è il candidato che incarna la nuova e diffusa sensibilità per l’ambiente post-Greta Thunberg e postpandemia, ma anche lui non convince, a dir poco, e difficilmente supererà l’attuale 4,5% nei sondaggi. Poi c’è Christiane Taubira, l’ex ministra della Giustizia che doveva salvare la sinistra: si è lanciata per ultima nella mischia sperando di vincere le «primarie» popolari di gennaio e diventare così la candidata unica della gauche .Le primarie le ha vinte, ma gli altri non si sono ritirati in suo favore e così adesso la sinistra ha un nome in più, fermo al 6 per cento. Il meglio piazzato resta Jean-Luc Mélenchon (France Insoumise, sinistra radicale) con il 9,5%, comunque lontano dalle prime posizioni.
Salvo sorprese l’elezione si giocherà quindi tutta a destra, tra il presidente uscente Emmanuel Macron, gran favorito, che nel 2017 vinse il suo primo mandato proclamandosi «di destra e di sinistra» e che in cinque anni sembra avere dimenticato la seconda parte della formula; Valérie Pécresse, esponente della destra gollista dei Républicains; Marine Le Pen, che cerca di apparire come il volto ormai equilibrato e ragionevole dell’estrema destra, e Eric Zemmour che invece è felice di mostrarsi ancora più duro e determinato della rivale. Alla sinistra non rimarrà che misurare l’entità della disfatta.
Come è stato possibile?
«Dobbiamo partire dallo scarto che esiste in Francia tra società civile e rappresentanza politica. I candidati di sinistra alle presidenziali si trovano in una situazione così disastrosa non perché la società sia davvero così lontana dalla sensibilità di sinistra, anzi».
Eppure si parla spesso di uno spostamento a destra della Francia.
«Le dinamiche dei partiti e dei candidati a mio avviso non riflettono le idee e le passioni dei francesi, e questa frattura è molto grave. Si tende a considerare il nuovo individualismo come un valore che spinge verso la destra, valutazione secondo me sbagliata».
L’individualismo attuale è di sinistra?
«Molti tendono a contrapporlo al senso civico e alla sensibilità collettiva, ma secondo me l’individualismo è il segno di un progresso democratico, di una liberazione dell’individuo che poi non resta affatto chiuso nella sua gabbia di egoismo, come si tende a credere, ma cerca la relazione con gli altri. L’individualismo contemporaneo va di pari passo con la dimensione relazionale, come è evidente se consideriamo internet e i social media. Oggi essere un individuo non significa conformarsi agli altri ma venire riconosciuti nella propria singolarità. C’è una forte voglia di uguaglianza, non nel senso che siamo tutti uguali ma che la nostra unicità va rispettata come quella di chiunque altro. È un processo di emancipazione e tutela delle differenze che mi pare un progresso. E se vogliamo ricorrere alle categorie del mio amato Norberto Bobbio, il progressismo è di solito rappresentato dalla sinistra e il conservatorismo dalla destra».
A quali altri progressi assistiamo nella società?
«In Francia il movimento che si è messo in moto nel ’68 non si è fermato. Dal riconoscimento dei diritti Lgbtq+ al matrimonio aperto agli omosessuali, alle unioni interetniche, l’assimilazione di tanti stranieri, oppure la parità tra uomo e donna: se pensiamo che il diritto di voto è stato garantito alle donne solo dopo la Liberazione nel 1944, la giusta insofferenza di oggi verso le residue forme di discriminazione mi sembra piuttosto un buon segno, la prova di una sensibilità democratica che spinge verso il progresso più che verso la con