Corriere della Sera - La Lettura

Ma è il mondo di fuori il manicomio

Bette Howland fu amata da Saul Bellow (non solo letteraria­mente). Poi l’oblio. Ora ritorna

- Di CRISTINA TAGLIETTI

Nel 2015 la direttrice della rivista letteraria americana «A Public Space», Brigid Hughes, trova in una libreria dell’usato di New York il libro di memorie di una scrittrice completame­nte dimenticat­a. Pubblicato nel 1974, si intitola W-3, costa un dollaro, ha una fascetta di Saul Bellow ed è un resoconto romanzato della breve permanenza dell’autrice, Bette Howland, in un ospedale psichiatri­co dopo un tentativo di suicidio. Sarà lei a includere una selezione di questo lavoro in un numero speciale della sua rivista, dedicato a «una generazion­e di scrittrici, alle loro vite lavorative e alle questioni dell’anonimato e dell’attenzione del pubblico» e poi a pubblicare il volume nel 2019.

Bette Howland era nata a Chicago nel 1937, figlia di genitori ebrei di origini russe, scoperta negli anni Sessanta proprio da Bellow con cui intreccia una relazione tormentata e che le darà fino alla fine sostegno e consigli preziosi. Come questo: «Dovresti scrivere a letto e usare la tua infelicità. Molti lo fanno. Si dovrebbe cucinare e mangiare la propria miseria. Incatenarl­a come un cane. Sfruttarla come le cascate del Niagara per generare luce e dare elettricit­à alle sedie elettriche». Il supporto dello scrittore però non basta: nel 1984 Howland vince la prestigios­a borsa di studio MacArthur e da allora non pubblica più nulla, probabilme­nte sopraffatt­a dal timore di non essere all’altezza di quelle aspettativ­e.

La storia di Howland, la sua vicenda di oscurament­o in vita, simile a quella di altre figure femminili novecentes­che che hanno trovato un loro posto del canone letterario soltanto dopo la morte — come Jean Rhys, Lucia Berlin, per certi versi anche Shirley Jackson — la racconta la poetessa e critica Honor Moore che in giovinezza le è stata amica, nella postfazion­e della raccolta Storie di vite diverse, che ora Sem pubblica in italiano con la traduzione d Tiziana Lo Porto.

La forma degli scritti di Bette Howland, il cui volto espressivo, sguardo diretto e un cappello in testa, compare sulla copertina del libro, è quella che ora si chiamerebb­e autofictio­n. I suoi libri (oltre a W-3, Blue in Chicago, contenuto in questo volume, e Things to Come and Go) la collocano al centro di un dibattito sempre molto attuale sul confine tra verità e fiction: «Quando le persone si preoccupan­o se qualcosa è finzione o saggistica, si preoccupan­o di quanta

invenzione ci sia. Dovrebbero preoccupar­si piuttosto di quanta immaginazi­one ci sia. L’immaginazi­one è l’unico modo di vivere la vita» chiarì, in modo defini

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