Corriere della Sera - La Lettura

La letteratur­a occidental­e s’è fermata Il romanzo oggi è altrove

Nigeriano, Femi Kayode esordisce con un thriller, ispirato a un vero linciaggio, intitolato «Il cercatore di tenebre», anche se il problema del Paese — uno dei problemi — è l’assenza di elettricit­à. «Ma peggio sono le tensioni etniche tra africani»

- Di MARCO BRUNA

La mappa letteraria dell’Africa contempora­nea ha una stella polare chiamata Nigeria. Qui, nel 2006, è nata una casa editrice importante come Cassava Republic, in grado di imporsi sul mercato ultra competitiv­o americano; qui sono nati il primo Nobel africano, Wole Soyinka (1934), e il vincitore del Booker, Ben Okri (1959), autore del capolavoro La

via della fame (1991, Bompiani). La Nigeria è anche Chimamanda Ngozi Adichie (1977) e Chigozie Obioma (1986), finalista al Booker nel 2015 e nel 2019, considerat­o l’erede di Chinua Achebe (1930-2013), padre della letteratur­a africana in lingua inglese. Ognuno di loro ha acceso una luce su un mondo uscito a pezzi dal dominio coloniale.

In questa costellazi­one si è imposto l’esordiente Femi Kayode (Lagos, 11 agosto 1971), un master in Psicologia clinica e uno in Crime Fiction, di cui è appena uscito per Longanesi Il cercatore di tenebre. È il primo thriller con protagonis­ta lo psicologo forense nigeriano Philip Taiwo. Il secondo titolo, Gaslight, uscirà nel 2023. Pur non avendo frequentat­o le lezioni del maestro Raymond Chandler — inventore di Philip Marlowe — Kayode conosce a memoria uno dei suoi comandamen­ti: confondi il lettore.

Il libro si apre con il linciaggio di tre studenti alla periferia di Port Harcourt, nell’immaginari­a città universita­ria di Okriki. Sono stati bruciati vivi dalla folla perché accusati di avere derubato un collega. Un anno dopo i fatti — il romanzo è basato sul reale massacro, nel 2012, di quattro studenti dell’Università di Port Harcourt sospettati di furto — Philip Taiwo viene chiamato da un potente banchiere, padre di uno dei ragazzi uccisi, per indagare sugli omicidi. Per il lettore, la confusione comincia quando Philip affronta una realtà segnata da scontri tra fazioni, rapimenti, tribalismo, estremismo religioso, spaccio di droga e polizia corrotta. La folla di Okriki non è l’unica a macchiarsi di sangue. «Il tribalismo ha lo stesso peso delle tensioni razziali in America», spiega Femi Kayode in colle

gamento Zoom con «la Lettura» da Windhoek, capitale della Namibia, dove vive con la famiglia. Il romanzo è anche un’indagine sociologic­a sulla Nigeria.

«È nato come tesi di laurea per il master che ho seguito all’Università dell’East Anglia, in Inghilterr­a. Il linciaggio di Port Harcourt mi è rimasto dentro. La brutalità di quell’esecuzione, diventata virale sui social, mi tormentava. Mi sono chiesto che cosa scatti nella mente di persone normali durante un linciaggio. In Nigeria, ma anche in altre parti dell’Africa, o in India, un linciaggio scatta dal nulla: se una folla decide che sei colpevole non attende troppo a farsi giustizia. Perché questa violenza è accettata all’interno di una comunità?». Ha trovato una risposta?

«Philip Taiwo fa un parallelo tra i linciaggi dell’era segregazio­nista Jim Crow in America e ciò che succede in Nigeria, dove è diffuso il necklacing: vengono messi al collo delle vittime degli pneumatici cosparsi di benzina, a cui poi si dà fuoco. Questi linciaggi sono scatenati da un odio antico e represso dettato dal pregiudizi­o. Nel caso dell’Africa post coloniale la difficoltà di creare un’identità nazionale ha pesato molto. Gran parte delle nostre leggi ha una forte impronta inglese. Qui gli avvocati indossano una parrucca e dicono “My Lord”».

Come è finito il caso dei ragazzi linciati nel 2012?

«Hanno condannato alla pena capitale tre persone. I responsabi­li erano molti di più».

Il titolo originale del libro, «Lightseeke­rs» («I cercatori di luce»), si riferisce alla scarsità di energia in Nigeria.

«Riceviamo meno di tre ore di elettricit­à alla settimana dal governo, ci siamo abituati a vivere al buio. Come sempre, c’è chi guadagna da una situazione di emergenza qui: in questo caso chi vende generatori. Quando vivevo in Nigeria spendevo il 20 per cento dello stipendio per la benzina del mio generatore».

Il romanzo è diviso in quattro atti, introdotti da un enunciato sul comportame­nto della luce. È un invito a cercare la verità?

«Se colpisce una superficie irregolare, la luce si riflette in diverse direzioni. Così la verità: assume significat­i diversi a seconda di chi se ne impossessa. Il cattivo del libro è il sistema nigeriano, che ha sempre una versione della verità».

Che immagine dell’Africa vuole offrire ai lettori?

«Mi interessav­a dimostrare che anche noi siamo esseri umani. Siamo un complesso gruppo di persone segnato dalla storia, certo, ma l’Africa non è soltanto guerre, povertà e malattie, la visione preferita dei media. È un continente dinamico, ricco, che guarda al futuro».

Perché ha scelto una storia crime per mandare questo messaggio?

«Perché la popolarità di questo genere permette di raggiunger­e un pubblico sconfinato. Il crimine è ovunque. Quando è uscito il libro negli Stati Uniti in tanti hanno visto un collegamen­to tra l’assalto al Campidogli­o del 6 gennaio 2021 e il linciaggio di Okriki. In entrambi i casi una massa di gente manipolata insegue un’idea di giustizia».

Perché il tribalismo in Nigeria ha lo stesso peso delle tensioni razziali negli Stati Uniti?

«Ghettizzar­e, puntare il dito, è una pratica universale. Ma in Nigeria sono tutti neri: le differenze sono etniche, non razziali. Si immagini 250 etnie obbligate a convivere perché è stato imposto da un dominatore esterno. Sono gli Stati Uniti della Nigeria. Ma a differenza degli americani non abbiamo lottato per stare insieme, siamo stati obbligati dagli inglesi. La Nigeria è un esperiment­o».

La violenza viene amplificat­a dai social: è il caso dei fatti di Washington, dell’omicidio di George Floyd a Minneapoli­s, del terrorismo, dei linciaggi... La condivisio­ne di queste immagini sui social ci rende più insensibil­i?

«Fino a poche settimane fa Twitter era vietato in Nigeria, un Paese dove più di 120 milioni di persone, su oltre 200 milioni di abitanti, usa i social. Il problema è il modo in cui vengono regolati, quali contenuti vengono ammessi».

Nel 2021 l’Africa è tornata sotto i riflettori: Abdulrazak Gurnah, nato a Zanzibar ma naturalizz­ato britannico, ha vinto il Nobel; il sudafrican­o Damon Galgut il Booker. È una rivincita?

«Non ne sarei così sicuro. Credo che la letteratur­a occidental­e abbia esaurito le forme narrative. Questi riconoscim­enti servono a confermare un talento che esiste da decenni. L’establishm­ent letterario si guarda intorno, thriller compresi: oggi il mercato è attento agli autori asiatici».

Quanto c’è di sé in Philip Taiwo?

«È un alter ego: ho inventato il personaggi­o che mi piacerebbe essere. Sono istintivo ed emotivo come lui. Taiwo non è né un supereroe né Sherlock Holmes».

Che Nigeria scopriamo attraverso gli occhi di Taiwo?

«Ha studiato in Occidente, ha quella che definisco “l’arroganza della conoscenza”. Pensava di rimanere seduto nella stanza di un hotel a scrivere una relazione sugli omicidi e invece deve sporcarsi le mani tra la gente di Okriki».

Anche lei, mentre faceva ricerche per il libro, è stato sul luogo del crimine.

«Il luogo dove sono avvenuti i linciaggi si chiama Aluu, vicino a Port Harcourt. Ho intervista­to le persone del posto, ancora scioccate. Nessuno si fida del sistema. Per fare giustizia, dicono, non serve la polizia».

Cinque thriller contempora­nei imperdibil­i?

«Razorblade Tears di S. A. Cosby; L’alienista di Caleb Carr; Giochi sacri di Vikram Chandra; The Plot di Jean Hanff Korelitz; Il ritmo di Harlem di Colson Whitehead, il prossimo Nobel per la Letteratur­a».

 ?? ??
 ?? ?? FEMI KAYODE Il cercatore di tenebre Traduzione di Andrea Carlo Cappi LONGANESI Pagine 400, € 18,60 Kayode (in alto) ha 50 anni
FEMI KAYODE Il cercatore di tenebre Traduzione di Andrea Carlo Cappi LONGANESI Pagine 400, € 18,60 Kayode (in alto) ha 50 anni

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy