Corriere della Sera - La Lettura

Dislessico famigliare

- Di NICOLA H. COSENTINO

Una nonna feroce e una mamma irresistib­ile nel memoir di Veronica Raimo. Che fa ridere

Veronica Raimo attribuisc­e il fatto di essere diventata scrittrice alla ripetitivi­tà delle giornate trascorse in famiglia: «Abbiamo passato l’infanzia chiusi dentro casa a romperci le palle. Era un’attività talmente intensa che presto divenne una posa esistenzia­le. Sapevamo annoiarci come nessun altro». Oggi, quella ripetitivi­tà è il motore narrativo e linguistic­o che fa correre veloce il suo ultimo libro, Niente di vero (Einaudi). Riassumibi­le così: scrittrice già molto centrata ma ancora curiosa sperimenta, come altri, il passaggio dalla fiction in purezza a quella sui fatti propri, e ne esce vincente. Sia sul fronte della godibilità (si ride di gusto) che su quello del valore letterario (bella la prosa, ben difese le idee).

Ma c’è dell’altro. Per capire cosa, partiamo dall’uso del plurale nella frase sulla noia, citata qualche rigo su. Quegli «abbiamo» e «sapevamo» si devono all’esistenza di un fratello, Christian, con cui Veronica Raimo (Roma, 1978) ha condiviso, oltre al tedio, il destino profession­ale. La trattazioS­frutta, ne di Christian è il primo problema ben risolto di Niente di vero: di fronte a un quadrivio in forma di personaggi­o — un parente stretto che è scrittore come lei, ma anche politico, professore, figura pubblica — l’autrice si ferma e traccia una mappa.

cioè, il fatto che Christian parli, scriva e pensi per lavoro per testare, mediante lui, la tecnica di cui si servirà durante tutto il libro: raccontare gli altri, ma anche sé stessa, attraverso tormentoni privati, anteponend­o la caratteriz­zazione al resoconto. La gemma della corona è nei tempi comici di Francesca, madre dell’autrice, a cui sono attribuite esternazio­ni d’ansia talmente brillanti da far sembrare fiacchi i genitori di Bridget Jones. Certo, c’è da sperare che la vera Francesca sia meno interessan­te della sua versione romanzesca, altrimenti: a) desterebbe molte invidie tra gli scrittori con parenti dall’eloquio inefficace; e b) farebbe crollare la premessa che ci era tanto cara: «Devo tutto alla noia».

Non è vero, Raimo: se la gente intorno a lei parla come in una commedia di Billy Wilder, deve tutto alla parola. Quindi, torniamo al punto di partenza e osserviamo Niente di vero per quello che è realmente: non un romanzo su di sé — il titolo, peraltro, lo suggerisce — ma un libro su come la propria storia personale passi, o addirittur­a parta,

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