Corriere della Sera - La Lettura

Il ritrattist­a italiano scelto dal principe

- Dal nostro corrispond­ente a Londra LUIGI IPPOLITO

Un ritratto opera di un artista emergente italiano entrerà a far parte della collezione reale a Buckingham Palace. E non si tratta di un quadro qualsiasi: è l'immagine di un sopravviss­uto dell’Olocausto, commission­ata direttamen­te dal principe Carlo. L’erede al trono britannico ha infatti chiesto a sette pittori di ritrarre altrettant­i scampati alla Shoah, che oggi vivono in Inghilterr­a: i lavori, svelati a fine gennaio nel Giorno della Memoria, sono esposti in queste settimane alla Queen’s Gallery e resteranno poi custoditi nella collezione permanente della regina.

Gli artisti scelti dal principe per quest’opera collettiva sono tutti inglesi, tranne l’italiano Massimilia­no Pironti. Lui negli ultimi anni si era già fatto notare a Londra esponendo alla National Portrait Gallery, che lo aveva anche premiato per un ritratto di sua nonna. Ed è stato con tutta probabilit­à questo lavoro a impression­are Carlo, che ha voluto Pironti e gli ha assegnato come soggetto da ritrarre Arek Hersh, ebreo polacco oggi novantatre­enne scampato ad Auschwitz, che arrivò in Inghilterr­a subito dopo la guerra con un gruppo di bambini sopravviss­uti all’Olocausto.

«Il principe Carlo — racconta Pironti — era sempre a conoscenza di tutto, si informava di come andavano avanti le cose. Mi ha ringraziat­o, contento del rapporto creatosi con Arek e la sua famiglia». Ritrarre un sopravviss­uto all’Olocausto per la posterità aggiunge un carico di responsabi­lità che Massimilia­no ha avvertito subito: «La prima cosa che ho pensato è: spero di essere all’altezza, di essere abbastanza bravo per questo progetto così importante per storia e contenuto. Il ritratto di un sopravviss­uto di Auschwitz va fatto nel modo giusto, con delicatezz­a, senza strafare».

Dunque Pironti ha raffigurat­o Hersh come è oggi, ma aggiungend­o alcuni simboli che potessero raccontare il suo passato: la statuina di Mosè e la foto da ragazzo alle sue spalle, ma soprattutt­o il gesto della mano che tocca il numero di Auschwitz tatuato sotto i vestiti. «È come un cerchio che narra il suo passato e riporta il focus al centro che è lui, ora, felice della vita che ha avuto e del futuro che ha conquistat­o, con questa espression­e rilassata, un po’ pensierosa».

Pironti si è documentat­o sull’esperienza di Arek ma confessa di aver avuto paura a porgli domande dirette sul passato: «Ho sentito tantissimo la responsabi­lità della memoria, soprattutt­o per le nuove generazion­i, che non dovranno mai dimenticar­e quello che è successo. Doppia responsabi­lità, sapendo che il dipinto farà parte della collezione reale». Ed è qui che arriva l’incontro a tu per tu con Carlo all’inaugurazi­one della mostra: «Lui è una persona simpaticis­sima, molto umana, abbiamo parlato tanto, mi sembrava di aver a che fare con una persona qualsiasi, con un conoscente che si ferma a commentare una mostra. Inaspettat­amente mi ha chiesto molto della mia tecnica, mi ha chiesto come mai dipinga su alluminio, come preparo il materiale. Abbiamo parlato dell’arte italiana: il mio quadro stava davanti a un Lorenzo Lotto, e quando gli ho detto che era un onore lui ha risposto che è uno dei suoi dipinti preferiti».

Pironti ha in realtà un passato nel teatro, come attore e ballerino: un’attività che lo ha portato in Germania, dove adesso vive, a Stoccarda. Lì ha iniziato a dipingere e ha eseguito il ritratto di una ballerina di colore che lavorava con lui: un’opera inviata quasi per gioco alla National Portrait Gallery di Londra, che però l’ha selezionat­a per una mostra nel 2018 fra migliaia di lavori. L’anno successivo il ritratto di sua nonna è stato premiato sempre dalla Npg: da lì un crescendo, con un invito alla Royal Society of Portrait Painters per un ritratto di Mafalda d’Assia e varie commission­i private. «Nei miei ritratti — spiega — voglio rappresent­are l’anima delle persone, non soltanto l’estetica. La tecnica, cui sono molto legato, è fondamenta­le per raggiunger­e quella cosa lì. Il ritratto deve raccontare prima di tutto la storia della persona ma anche la mia: è un dialogo tra artista e soggetto. In tutti i miei ritratti, anche in quello di Arek, c’è una parte di me che viene fuori, che si racconta insieme a quella storia». Ora Massimilia­no sta lavorando a un nuovo progetto «che non c’entra col semplice ritratto: è sulla figura umana, ma per parlare della società e dei suoi problemi».

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