Corriere della Sera - La Lettura
MA PER VIVERE CI VUOLE UN PO’ DI UMANITÀ
Siamo dunque arrivati a 8 miliardi! Ce lo aspettavamo ma la notizia colpisce lo stesso. Soprattutto se consideriamo che vent’anni fa il pianeta ospitava 6 miliardi di esseri umani e all’inizio dell’Ottocento un solo miliardo. Più o meno. Le dimensioni della popolazione di ogni specie vivente sono soggette a fluttuazioni che possono essere in genere spiegate e in parte previste. La fluttuazione dipende da un certo numero di parametri biologici, tra i quali l’ampiezza della popolazione dei predatori e quella delle prede potenziali. Ma noi rappresentiamo una specie a parte. Mentre all’inizio dei tempi, millenni fa, l’estensione della nostra popolazione seguiva più o meno le stesse regole, oggi non esiste quasi più niente che cospiri a ridurla, almeno al momento. Così cresce quasi senza ostacoli. Limitata solo da sé stessa e dalle richieste che noi poniamo all’ambiente. Siamo tanti e viviamo tanto. Fino a qualche tempo fa eravamo sbigottiti davanti alla vastità degli spazi — terra, acqua, cielo — che ci circondano.
In questi spazi ci perdevamo e ci sentivamo piccoli piccoli. Ora non più. Il palcoscenico sembra essersi ristretto intorno agli attori e ai loro effetti, così a loro sembra quasi necessario «sgomitare» per non farsi soffocare e sommergere dagli altri noi. E non basta. Qualche tempo fa è stato anche notato che la massa totale delle cose prodotte dall’uomo aveva superato la massa di tutti gli esseri viventi esistenti sulla Terra.
Noi diciamo che dobbiamo preoccuparci per i danni che creiamo al nostro pianeta, ma ci dobbia
mo invece chiedere che fare perché questo continui a portarci e sopportarci. Si tratta di un insieme di affermazioni giuste ma che ci lasciano purtroppo piuttosto indifferenti fino a che non si viene al cospetto dei numeri. Approfitto quindi dei numeri per fare qualche osservazione. Siamo esseri viventi che consumano tante risorse e tanta energia, ma anche esseri senzienti che vivono una loro vita commentando fra di loro e confrontando le cose del mondo dall’interno di solide fortezze non impossibili da mettere a repentaglio.
Oltre all’aspetto materiale, quindi, tutt’altro che secondario, c’è anche l’aspetto psico-sociale al quale difficilmente sappiamo sottrarci. Vivere è fatto di sopravvivere, ovviamente, ma anche del potersi muovere in uno spazio vitale, che non ci faccia sentire isolati ma che nemmeno ci opprima. O ci disorienti. Noi abbiamo bisogno dei nostri simili anche solo per respirare o per dormire. Tutti i rituali e le pantomime più o meno solenni che le varie popolazioni si sono inventate nel tempo servono anche a tenerci immersi nell’umano, stabilendo e quasi garantendo una continuità temporale e transindividuale. Non basta per noi
essere umani, occorre anche farsi umani, tenerci e confermarci tali, una cosa che è un po’ mancata durante il periodo della pandemia. Ci è mancato il pascolare fianco a fianco, trotterellare qua e là e guardarsi come un’abitudine. Questa riposante condizione può essere minacciata da eventi negativi che incombono, dall’incontrare troppo di rado un nostro simile, come in alcune saghe medievali, ma anche dall’affollamento più o meno permanente dei nostri spazi vitali. È un equilibrio sottile, mantenuto per secoli in condizione subottimale per difetto e minacciato oggi dall’eccesso. Tutto questo si osserva bene per animali grandi e piccoli tenuti in cattività, ma opera anche in noi.
Normalmente non ce ne accorgiamo ma lo notiamo e lo subiamo in condizioni particolari. Si direbbe quasi che i nostri sensi percepiscano e segnalino più l’anomalo che l’ordinario. Ma forse è proprio questo il loro ruolo. Nessuno ci prega di vivere ma per vivere occorre rispettare certe indicazioni. Che ci vengono da noi stessi e dal mondo e abbiamo imparato nel tempo che il mondo può benissimo vivere senza di noi, ma non noi senza di lui e senza un numero ragionevole di altri noi. Se questi sono troppo pochi o troppi cessano di essere noi e diventano «loro». E tutto si accartoccia pericolosamente.