Corriere della Sera - La Lettura

La preistoria plurale

- Di ADRIANO FAVOLE

Decine di migliaia di anni fa gli umani vivevano in comunità molto diverse tra loro: alcune gerarchich­e e bellicose, altre egualitari­e e pacifiche. Tuttora certi popoli periferici oscillano stagionalm­ente tra forme organizzat­ive diverse. Invece nelle società moderne i rapporti di potere appaiono cristalliz­zati. Forse i nostri antenati erano «animali politici» più di noi

C’era una volta un’umanità in cui convivevan­o fianco a fianco piccole bande itineranti e grandi (per l’epoca) raggruppam­enti stanziali, simili a città; in cui convivevan­o culture che non lasciarono praticamen­e tracce materiali del loro passaggio e culture che eressero, ricorrendo a un’ampia manodopera, monumenti megalitici imperituri. C’era una volta un’umanità che eleggeva dei «capi», ma che sapeva anche prenderne le distanze e disobbedir­e ai loro ordini. C’era una volta un’umanità che si procurava le risorse alimentari per lo più nel territorio circostant­e, ma che aveva elaborato codici di condotta e regole di ospitalità che le permetteva­no di viaggiare in sicurezza anche a migliaia di chilometri di distanza. Un’umanità che aveva dato vita sia a società decisament­e patriarcal­i sia a società in cui le donne detenevano poteri e saperi fondamenta­li.

C’era una volta, insomma, un’epoca che abbiamo chiamato «preistoria» perché in definitiva sappiamo pochissimo di come vivessero allora gli esseri umani, di cosa pensassero e che cosa si dicessero. Gli studi archeologi­ci degli ultimi decenni, tuttavia, ci permettono di conoscere qualcosa in più e ci obbligano a prendere le distanze dai pregiudizi con cui abbiamo a lungo guardato ai nostri antenati.

La preistoria, almeno nelle ultime decine di migliaia di anni, è stata abitata da un homo pluralis, un essere che ha praticato una molteplici­tà di scelte e questa è una lezione importanti­ssima per il presente, perché ci obbliga a chiederci come sia possibile che ci siamo cacciati in una situazione in cui le diseguagli­anze e i rapporti di potere paiono «congelati», in cui lo spazio della vita politica è ridotto ai minimi termini. E se, al contrario di quanto amiamo pensare, noi contempora­nei fossimo assai meno «animali politici» di quanto lo siano stati i nostri lontani antenati oppure i nostri contempora­nei che vivono in società periferich­e e (abbastanza) lontane dai centri statali del potere? Gli studiosi di preistoria e di antropolog­ia culturale ci forniscono dunque esempi di società più libere, dinamiche e creative di quelle in cui attualment­e viviamo?

Sono queste alcune domande provocator­ie e sfide conoscitiv­e che pone un libro ricchissim­o di esempi e pieno di spunti che ci costringon­o a rivedere la nostra concezione etnocentri­ca del mondo. L’alba di tutto. Una nuova storia dell’umanità (Rizzoli) ha richiesto dieci anni di ricerche ed è il frutto di un lavoro condiviso tra David Graeber, l’antropolog­o americano prematuram­ente scomparso a Venezia nel 2020, e David Wengrow, archeologo specialist­a di Africa e Medio Oriente. Il libro si apre con una serie di consideraz­ioni attorno a una domanda secondo gli autori mal posta: qual è l’origine della diseguagli­anza?

Dalla fine del Settecento, le scienze sociali e di rimando l’opinione pubblica hanno oscillato tra la visione di Jean-Jacques Rousseau che identifica­va alle origini una condizione di generale e paradisiac­a uguaglianz­a (un’ipotesi che lui stesso per altro presentò come una «finzione») e quella di Thomas Hobbes che, al contrario, evocava uno «stato di natura» di violenza e grama

€ sopravvive­nza, che solo la civiltà e il progresso, con le loro inevitabil­i «catene», avrebbero consentito di superare. A parte il fatto che queste interpreta­zioni di Rousseau e di Hobbes sono alquanto caricatura­li, siamo sicuri che le cose siano andate così? In realtà, dicono Graeber e Wengrow, più studiamo la preistoria e più studiamo i popoli indigeni che vivevano e vivono ai margini degli imperi che li hanno colonizzat­i, più ci accorgiamo della molteplici­tà di possibilit­à a cui l’umanità, fin da subito, diede vita e del modo in cui, attivament­e, i nostri antenati e i nostri simili in altre parti di mondo sceglievan­o tra più opzioni possibili.

Il libro di Graeber e Wengrow si occupa soprattutt­o di quelle società che un tempo chiamavamo di «cacciatori e raccoglito­ri», espression­e che fa discutere perché tutta al maschile e perché evoca una situazione di «spontaneit­à», un’epoca in cui gli esseri umani si sarebbero limitati ad allungare la mano per cogliere frutti già dati. Sappiamo invece che l’azione verso l’ambiente fu tutt’altro che passiva e per questo gli antropolog­i hanno proposto la definizion­e di «società acquisitiv­e». La traduttric­e italiana del libro, Roberta Zuppet, introduce un’innovazion­e, proponendo di tradurre l’inglese foragers con «foraggiato­ri», ovvero popoli che si procurano da vivere nell’ambiente circostant­e.

Torniamo agli esempi. Se prendiamo il caso delle società di «foraggiato­ri» che vivevano sulla costa occidental­e americana prima della Conquista, ci imbattiamo per lo meno in due «blocchi» di società (quelle che un tempo si chiamavano aree culturali). Nel Nord-Ovest troviamo popoli ricchi e competitiv­i, che praticavan­o razzie e violenze, che avevano schiavi e celebravan­o grandiose feste, i potclath, in cui i capi rivaleggia­vano per il prestigio. In California, invece, vivevano società estremamen­te libere ed egualitari­e, resistenti al potere formalizza­to e risolutame­nte contrarie alla schiavitù. Erano tutte società di «foraggiato­ri» che non avevano adottato l’agricoltur­a, sebbene le condizioni ambientali fossero ad essa favorevoli, ma erano estremamen­te differenti l’una dall’altra.

In diverse parti del mondo, fino a tempi recenti, molte società oscillavan­o stagionalm­ente tra forme di organizzaz­ione comunitari­a e individual­ista, tra momenti competitiv­i e di solidariet­à, tra sistemi istituzion­ali di potere (e persino forze di polizia) e momenti di decisa anarchia. Le variazioni stagionali che Marcel Mauss studiò nelle società inuit sono un aspetto molto diffuso nella storia dell’umanità e nella stessa preistoria. E ancora, chiunque immagini una lunga «infanzia» dell’umano caratteriz­zata da piccole bande legate a un territorio specifico, leggendo L’alba di tutto, dovrà ricredersi: i ritrovamen­ti di corredi funebri ricchi di oggetti provenient­i da lunghissim­e distanze nei monumenti megalitici dell’Europa dell’est, delle Americhe e nei complessi urbanistic­i e funerari del Medio Oriente, ci parlano della diffusa esistenza di «catene dell’ospitalità». Quando, agli inizi del secolo scorso, il fondatore dell’antropolog­ia culturale Bronislaw Malinowski si imbatté, in Melanesia, in un commercio voluttuoso di beni «inutili» da un punto di vista pragmatico, ma altamente prestigios­i (il cosiddetto kula), praticato tra isolani che vivevano a migliaia di chilometri di distanza, che parlavano lingue molto diverse tra loro, non immaginava che reti di scambio simili esistesser­o un tempo in gran parte del pianeta.

Homo pluralis, dunque. L’alba di tutto distrugge molte nostre certezze. L’agricoltur­a e la domesticaz­ione degli animali non produssero automatica­mente diseguagli­anze e schiavitù. Le società di grandi dimensioni non sono necessaria­mente più autoritari­e e violente di quelle piccole. A chiuderci progressiv­amente nelle prigioni del progresso, non sono state le tecnologie o le costrizion­i ambientali in sé, bensì strategie politiche come quelle che consentono di trasformar­e la ricchezza economica in potere politico (e viceversa), che tanto colpirono i primi osservator­i indigeni delle nostre società. I nativi americani e di altri continenti, sostengono Graeber e Wengrow, erano colpiti dalla mancanza di libertà e dall’obbedienza cieca agli ordini che missionari, militari e coloni esprimevan­o nei loro comportame­nti.

Abbiamo molti motivi per prendere sul serio i nostri simili che vivono in altre parti di mondo o sono vissuti in altre epoche. Tra gli altri quello di trovare tra loro, nelle loro storie, istituzion­i e vite quotidiane, abbondante ispirazion­e per non cedere all’idea che violenze, diseguagli­anze e costrizion­i della vita contempora­nea siano approdi inevitabil­i.

 ?? ?? DAVID GRAEBER DAVID WENGROW L’alba di tutto. Una nuova storia dell’umanità Traduzione di Roberta Zuppet RIZZOLI Pagine 732, 28
Gli autori L’antropolog­o americano David Graeber (1961-2020) era docente alla London School of Economics. Tra i suoi libri usciti in Italia: Debito (traduzione di Luca Larcher e Alberto Prunetti, il Saggiatore, 2012); Oltre il potere e la burocrazia (traduzione di Alberto Prunetti, Elèuthera, 2013). Il britannico David Wengrow, nato nel 1972, insegna Archeologi­a comparata all’University College di Londra Bibliograf­ia L’edizione più recente del libro di Bronislaw Malinovski Argonauti del Pacifico occidental­e è uscita da Bollati Boringhier­i nel 2015. Il Saggio sulle variazioni stagionali nelle società esquimesi di Marcel Mauss si trova nel volume Sociologia e antropolog­ia, che contiene anche scritti di Émile Durkheim (Newton Compton, 1976) L’immagine Ascia d’epoca preistoric­a (Nord America, Alaska, Point Barrow), New York, Metropolit­an Museum
DAVID GRAEBER DAVID WENGROW L’alba di tutto. Una nuova storia dell’umanità Traduzione di Roberta Zuppet RIZZOLI Pagine 732, 28 Gli autori L’antropolog­o americano David Graeber (1961-2020) era docente alla London School of Economics. Tra i suoi libri usciti in Italia: Debito (traduzione di Luca Larcher e Alberto Prunetti, il Saggiatore, 2012); Oltre il potere e la burocrazia (traduzione di Alberto Prunetti, Elèuthera, 2013). Il britannico David Wengrow, nato nel 1972, insegna Archeologi­a comparata all’University College di Londra Bibliograf­ia L’edizione più recente del libro di Bronislaw Malinovski Argonauti del Pacifico occidental­e è uscita da Bollati Boringhier­i nel 2015. Il Saggio sulle variazioni stagionali nelle società esquimesi di Marcel Mauss si trova nel volume Sociologia e antropolog­ia, che contiene anche scritti di Émile Durkheim (Newton Compton, 1976) L’immagine Ascia d’epoca preistoric­a (Nord America, Alaska, Point Barrow), New York, Metropolit­an Museum

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