Corriere della Sera - La Lettura

Quant’è casual Nevo Il narratore sempre in jeans

- Di ALESSANDRO PIPERNO

Sta per approdare nelle librerie la nuova opera dell’autore israeliano, «Le vie dell’Eden». Una cosa si può dire subito: la sua prosa si conferma familiare, suadente, seduttiva; la sua voce ha una grazia insinuante. E un’altra cosa va detta: i libri ti danno l’idea, inequivoca­bile, che stia lavorando a un’unico romanzone extra-large.

Credo che non ci sia compliment­o più gradito per uno scrittore

Eccomi di nuovo qua, alle prese con un libro di Eshkol Nevo. Ogni volta che mi ritrovo a scrivere di lui giuro a me stesso che questa sarà l’ultima. Mi ripeto che dopo un po’ certi connubi diventano stucchevol­i, indigesti, e vanno interrotti. Se non temessi il ridicolo, potrei liquidare quella nei suoi confronti come la tipica passione ispirata da una «lunga fedeltà».

Sono trascorsi un bel po’ di anni dalla prima volta che lo recensii. Era appena uscito La simmetria dei desideri e in Italia il nome di Nevo circolava soprattutt­o tra gli specialist­i, relegato nel ghetto asfittico, e un tantino ripugnante, denominato «nuova narrativa israeliana». Da allora, credo (e temo) di non essermene perso uno.

Di solito, a questo scrupolo specifico se ne aggiunge un altro, di carattere generale, un tarlo che mi affligge tutte le volte in cui oso cimentarmi con scrittori dall’idioma esotico (israeliano, russo, giapponese che sia). Che senso ha, mi chiedo, valutare un libro vergato in una lingua di cui a stento conosco l’alfabeto? Non corro il rischio che i miei apprezzame­nti — o il biasimo eventuale — siano dettati dal talento del traduttore, o dalle sue insipienze?

Con il tempo ho capito che è un rischio da correre. Quando leggo scrittori Nevo, infatti — dotati di un talento talmente naturale da autorizzar­e il sospetto che per loro scrivere e respirare sia la stessa cosa — questo timore viene subito meno.

Benché sia totalmente ateo, desolatame­nte sprovvisto di spirituali­tà, credo in una specie di anima dei romanzi che, per certi versi, trascende la lingua in cui sono scritti. Quest’anima si manifesta attraverso un clima, non so come altro definirlo. Che, a sua volta, s’incarna nella voce dello scrittore, una voce talmente peculiare e persuasiva da resistere all’oltraggio della traduzione.

Ecco, è della voce di Nevo che vorrei parlarvi. Sia che scriva in terza persona, sia che lo faccia in prima, la voce è sempre la stessa. Per alcuni tale monotonia può essere un difetto, per me è un pregio. Dirò di più: la sola qualità che richiedo a uno scrittore amato è che non si vergogni di sé stesso, che non si snaturi, che non finga di essere un altro, che mi serva il solito piatto: se possibile guarnito di nuovi imprevedib­ili prelibati alimenti.

Insomma, che voce ha Nevo?

Il solo aggettivo che mi viene in mente sembra più adatto a una rivista di moda che a un inserto culturale: casual.

Ecco, Nevo ha una voce casual. È come se la sua prosa non smettesse mai i jeans e le scarpe da ginnastica. Si rifiuta di mettere in difficoltà il lettore, non lo guarda mai dall’alto in basso: è familiare, suadente e seduttiva. Nei casi peggiori, al critico più esigente, può apparire incline a un certo sentimenta­lismo, se non addirittur­a a una deplorevol­e melensaggi­ne (troppi figli amati, troppi amori assoluti). Ma ciò avviene raramente e fa parte del gioco. Di solito, la sua voce ha una grazia insinuante e allusiva.

A questo stato di cose contribuis­ce il carattere dei personaggi: si presentano a noi sotto spoglie normali, altrettant­o casual, afflitti da rovelli nevrotici o passioni travolgent­i. A prima vista ci somigliano. Appartengo­no a una media borghesia colta e progressis­ta. Coltivano interessi pop. Il calcio, il cinema americome cano e la musica leggera forniscono la piattaform­a comune indispensa­bile per socializza­re: insomma, ciò che serve per farsi un amico o per rimorchiar­e una ragazza. Proprio come noi, sono perlopiù insoddisfa­tti. Da bravi israeliani istruiti hanno un rapporto molto speciale con la patria. Ne vanno fieri, poco ma sicuro; allo stesso tempo, però, ne sono talmente intossicat­i che spesso devono abbandonar­la per intraprend­ere viaggi lunghi (hanno un debole per il Sud America e per il trekking). Anche qui, scarpe comode e zaini in spalla. Talvolta questa smania di cambiare aria assume proporzion­i inaudite e autolesion­iste, come nel caso degli eroi di Neuland ,il libro più ambizioso che Nevo abbia mai scritto. In quel caso l’intossicaz­ione era talmente mefitica da degenerare nel desiderio di una nuova diaspora.

L’identikit appena sbozzato si attaglia sia agli eroi dei primi romanzi — Nostalgia, La simmetria dei desideri — che a quelli dei libri più recenti: Tre piani e L’ultima intervista. Il milieu messo in scena da Nevo è talmente coerente che è difficile considerar­e i suoi libri singolarme­nte. Ce ne sarà uno che ti piace di più, uno che ti piace di meno, uno felice, l’altro maldestro. Resta il fatto che letti così, tutti assieme, possono darti l’illusione che si tratti di un solo romanzone extra-large. E credo che

Il nuovo libro di Nevo (in uscita in questi giorni per Neri Pozza) s’intitola

Le vie dell’Eden. Il che non deve stupire: è dai tempi di Agnon che gli scrittori israeliani indulgono volentieri a citazioni bibliche o ad allusioni talmudiche. A una prima occhiata distratta lo si può considerar­e una raccolta di racconti, indipenden­ti l’uno dall’altro. Tre novelle di lunghezza media, un genere che Nevo frequenta spesso, con esiti felici. Salvo capire poi, strada facendo, che in un certo senso (un senso parecchio balzachian­o) queste storie sono vagamente annodate l’una all’altra (come avveniva già in Tre piani). E non solo perché i destini dei personaggi a un certo punto si lambiscono fin quasi a intersecar­si, ma soprattutt­o perché il clima emotivo che li avvolge è pressapoco il medesimo. Si tratta di confession­i. Per essere più precisi, quel tipo di memorie difensive che l’imputato affida all’avvocato per fornire la propria versione dei fatti in merito a delitti di diversa natura e gravità: nel caso specifico, un omicidio, un’accusa di molestie sessuali o una sparizione (suicidio?). Come già avveniva ne L’ultima

intervista, questo setting apparentem­ente rigido consente ai narratori di divagare, denudarsi totalmente, dando conto di affetti, idiosincra­sie, schermagli­e, litigi, lutti, in un flusso avvolgente e ininterrot­to. Sono tutti accomunati da una smania di dire una volta per tutte le verità. Ed è proprio questo a provocare nel lettore più attento e smaliziato un sussulto di incredulit­à. Quanto di quello che dicono è attendibil­e? Date le circostanz­e, come fidarsi fino in fondo di chi ha parecchio da nascondere e così tanto da perdere? Perché non dovrebbero stravolger­e la verità a proprio vantaggio? Chi ci dice che l’eroe del primo racconto non sia implicato con un omicidio? Che il narratore del secondo non sia un molestator­e? Che la moglie abbandonat­a del terzo non conosca le ragioni del marito? Ecco, se dovessi dire cosa mi colpisce ogni volta della narrativa di Nevo la metterei così: quanti altri scrittori contempora­nei sono capaci di raccontare in modo altrettant­o persuasivo l’ambiguità e la reticenza? I suoi eroi si comportano come se non avessero niente da nascondere, amano spiattella­rti in faccia i loro difetti, ma basta prestare loro maggior attenzione, sorvolando sulla fuffa sentimenta­le e sulle mozioni di affetto, per rendersi conto di quanto crepata sia la loro coscienza e infingarda la loro anima.

Non credo che un’opera narrativa debba avere per forza un argomento, così come sono certo che non debba aver alcun messaggio specifico. Non so mai cosa rispondere a chi mi chiede: di cosa parla questo libro? Quale morale possiamo trarne? Eppure, se devo stare a un gioco che non mi piace, chiamato a identifica­re il tema che più emerge da quest’ultimo libro di Nevo, mi vien naturale soffermarm­i su una questione che attraversa un po’ tutta la sua produzione: la guerra tra i sessi. A qualcuno potrà sembrare una contraddiz­ione che uno scrittore così abile nel decifrare la simbiosi morale, intellettu­ale, erotica che può instaurars­i tra un uomo e una donna, si mostri così dubbioso sulla possibilit­à che a una siffatta sintonia non corrispond­a una schietta comunicazi­one. Eppure, niente emerge meglio da queste pagine come il peso di un’incomprens­ione reciproca. Possono amarsi, desiderars­i, litigare e riappacifi­carsi quanto più loro aggrada, ma resta il fatto che gli uomini e le donne di Nevo sono condannati a non capirsi, e non capendosi a farsi parecchio male.

 ?? ?? L’autore Eshkol Nevo (Gerusalemm­e, 1971; foto Dpa/Archivio Corsera) ha vissuto negli Usa e studiato a Tel Aviv. I suoi libri in Italia sono pubblicati da Neri Pozza, compreso Tre piani, dal quale Nanni Moretti ha tratto il suo film più recente, uscito l’anno scorso Gli appuntamen­ti Eshkol Nevo presenta Le vie dell’Eden a Firenze il 27 febbraio (al festival Testo, ore 15, prenotazio­ni: testofiren­ze.it) e a Bologna il 28 febbraio (Biblioteca Universita­ria, ore 17, prenotazio­ni: bit.ly/ 3gzhdOx) e il 1° marzo (Biblioteca Salaborsa, ore 18, accesso libero)
L’autore Eshkol Nevo (Gerusalemm­e, 1971; foto Dpa/Archivio Corsera) ha vissuto negli Usa e studiato a Tel Aviv. I suoi libri in Italia sono pubblicati da Neri Pozza, compreso Tre piani, dal quale Nanni Moretti ha tratto il suo film più recente, uscito l’anno scorso Gli appuntamen­ti Eshkol Nevo presenta Le vie dell’Eden a Firenze il 27 febbraio (al festival Testo, ore 15, prenotazio­ni: testofiren­ze.it) e a Bologna il 28 febbraio (Biblioteca Universita­ria, ore 17, prenotazio­ni: bit.ly/ 3gzhdOx) e il 1° marzo (Biblioteca Salaborsa, ore 18, accesso libero)
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ESHKOL NEVO Le vie dell’Eden Traduzione di Raffaella Scardi Pagine 256, € 18 In libreria dal 24 febbraio
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