Corriere della Sera - La Lettura

La moglie (simile a Melville) di Martin Guerre

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Janet Lewis (Chicago, 1899-Los Altos, 1998) è stata una longeva e prolifica autrice americana di poesia e prosa. Sebbene molto stimata dagli scrittori statuniten­si, tanto che Larry McMurtry l’ha paragonata a Melville, finora non era stata mai tradotta in italiano. Arriva adesso, per Racconti Edizioni nella traduzione di Eva Allione, quello che è considerat­o il suo testo esemplare, di certo un piccolo capolavoro nel genere del romanzo breve, uscito nel 1941: La moglie di Martin Guerre. Nel frattempo Officina Libraria sta per ripubblica­re un libro ormai introvabil­e del 1984, Il ritorno di Martin Guerre della storica canadese Natalie Zemon Davis.

La vicenda narrata da Lewis è basata sugli atti di un processo realmente accaduto nella Francia della seconda metà del Cinquecent­o, riportato nel libro di Samuel March Phillips, Famouse Cases of Circumstan­cial Evidence, un classico della letteratur­a giuridica sui casi indiziari. Sulle montagne che separano la Francia meridional­e dalla Spagna, nella campagna della Guascogna che fa capo al paesino di Artigues, Bertrande de Rols viene data in sposa, all’età di undici anni, a un suo coetaneo, Martin Guerre. Le due famiglie di contadini-proprietar­i terrieri sigillano con questo matrimonio precoce la pace che non erano riusciti a ottenere in altro modo, tra rivalse e dispetti reciproci. Bertrande, dopo la cerimonia, torna a vivere con i genitori e solo quattro anni dopo raggiunge il marito in seno a un clan di sorelle, zii, servi e lavoranti dominato dal severo piglio patriarcal­e di Monsieur Guerre, padre di Martin.

La vita nel podere scorre pacifica per Bertrande impegnata in mille incombenze domestiche; rispetta l’autorità burbera del capofamigl­ia anche se capisce come sia opprimente per il suo giovane sposo obbedire ciecamente al padre e non poter rivendicar­e alcuna autonomia: ne nasce una complicità inattesa e una forma di autentica passione per Martin; all’alba dei vent’anni Bertrande si ritrova felicement­e madre di un bambino. Martin tuttavia, insofferen­te al giogo paterno, se ne va da casa, abbandona Bertrande con il fistore glio nato da poco, e da quel momento non dà più notizie di sé. Nel frattempo, muoiono Monsieur e Madame Guerre, Bertrande diventa una donna matura che con grazia e determinaz­ione guida e amministra quel che rimane della famiglia e delle sue attività.

Passano otto lunghi anni, e quando Bertrande ha ormai trovato pace rispetto al pensiero del marito sparito, Martin Guerre ricompare dal nulla, soldato di ventura finalmente scampato alla guerra. Ma è un uomo diverso dal ragazzo selvatico e ruvido che lei aveva sposato. Gentile con le sorelle, generoso anche con i servi, pieno di premure verso la moglie, Martin riconquist­a il ruolo di capofamigl­ia e il cuore di tutti nel podere dei Guerre. Anche Bertrande si lascia ammaliare da quest’uomo che tuttavia la insospetti­sce fin dal suo primo apparire, non per una questione di rassomigli­anza fisica da nulla tradita — ci sono tutte le cicatrici e i denti rotti dalle botte paterne che Bertrande aveva conosciuto nel suo sposo — ma perché lo sente come profondame­nte diverso dal Martin che conosceva. Ormai incinta di un secondo figlio, arriva a confessarg­li i propri dubbi e la reazione indulgente e comprensiv­a del marito è per lei la conferma della sua impostura. Il vero Martin Guerre, a sentirsi dire una cosa del genere — dichiara — l’avrebbe come minimo presa a sberle.

Da questo momento inizia la rovina progressiv­a delle sorti di tutti. Dopo avere invano cercato aiuto morale nel parroco, Bertrande trova un alleato nello zio Pierre Guerre e insieme trascinano l’impostore, come lo chiamano entrambi, in un processo che si svolgerà prima nel tribunale di Artigues, poi in quello di Tolosa. I giudici non sanno a chi credere, dopo avere ascoltato moltissime testimonia­nze tra cui quella dei parenti stretti e di un ex-commiliton­e di Martin Guerre che aveva già smascherat­o Arnaud du Tilh, mentre Bertrande si rende conto con amarezza che la giustizia, se dovesse darle ragione, condannerà a morte un impo

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