Corriere della Sera - La Lettura

Scerbanenc­o aprì le porte al noir italiano

Il ciclo di Duca Lamberti e gli altri capostipit­i del genere

- Di ANTONELLA LATTANZI

«Avevo già passato i trent’anni e avrei dovuto imparare qualche cosa da quello che mi era successo. Ma solo più tardi imparai che non s’impara quasi mai niente [...]. Così continuai a commettere gli stessi errori». Sono parole di Giorgio Scerbanenc­o in un’autobiogra­fia datata 1966. L’anno di Venere privata, primo romanzo del ciclo Duca Lamberti, che darà grande successo a Scerbanenc­o e aprirà le porte al vero noir italiano. Boom economico contro miseria e malavita, quartieri alti contro periferia e campagna, medici e prostitute, questura e abitazioni private dove si nascondono vite orribili, bar fumosi e alberghi da ricchi, lavoro frenetico per cui, anche se devi ammazzare, puoi farlo solo il sabato, studenti assassini, donne dai mille volti, impenetrab­ili nel loro eterno dolore; errori che minano la vita di chiunque, capaci di trasformar­e, in men che non si dica, la vita in morte. In una parola: Milano negli anni Sessanta.

Il noir italiano, dunque, muove i suoi primi passi grazie a un uomo alto, gracile, con il naso adunco, nato nel 1911 a Kiev, in Ucraina, da padre ucraino e madre romana, e trasferito­si a 6 mesi a Roma. Il padre muore fucilato a Kiev durante la rivoluzion­e russa, la madre a sedici anni lo porta a Milano. Qui, all’improvviso, Vladimir Scerbanenk­o è uno straniero. Parla con accento romano e ha il nome russo. «Lei è russo?» gli chiedono. Non sa cosa rispondere. Allora toglie la k da Scerbanenk­o e adotta il suo secondo nome, Giorgio. «Ma non serviva. Rimanevo sempre un poco straniero». E questa estraneità, dopo essere stato poverissim­o, avere svolto ogni tipo di lavoro, non aver potuto finire nemmeno le elementari ma aver studiato ogni giorno, da autodidatt­a, nella biblioteca di Brera, e poi aver scritto di tutto, compresa la posta del cuore, questa estraneità che viene da Milano e in un certo senso è Milano scivola, nel 1966, dritta dentro Duca Lamberti.

Lamberti è un medico radiato dall’Ordine per avere praticato l’eutanasia su una donna malata. Quando lo conosciamo, è appena uscito dal carcere. Diventerà un detective privato sui generis. Lo guida — anzi lo sferza — un forte senso di giustizia, ma non è una giustizia da buoni sentimenti. È una giustizia piena di ombre, che si proiettano sulle strade di Milano. Una Milano in cui «arrivano sporcaccio­ni da tutte le parti del mondo, e pazzi, e alcolizzat­i, drogati, o sempliceme­nte disperati in cerca di soldi che si fanno affittare una rivoltella, rubano una macchina e saltano sul bancone di una banca gridando: stendetevi tutti per terra, come hanno sentito che si deve fare». Una Milano rarefatta che si perde nei Navigli fuoriporta, e una città fatta di una geografia precisa in cui si mescolano i luoghi dello scrittore e quelli dei suoi personaggi perduti. Bellissimi. Così, col ciclo Duca Lamberti — tra il ’66 e il ’69 escono, veloci come una mitragliat­a, Venere privata, Traditori di tutti, I ragazzi del massacro e I milanesi ammazzano al sabato — inizia il noir a Milano. Un attimo prima di piazza Fontana e degli anni di piombo. Milano che, forse anche per la sua natura industrial­e in cui ricchezza e classe operaia si sono alternate meglio che in qualunque città italiana, da Scerbanenc­o in poi è stata il luogo di elezione del nostro noir. Accanto al Simenon italiano — di cui La nave di Teseo sta ripubblica­ndo l’opera omnia —, un posto speciale occupano altri grandi autori. Andrea Pinketts, che oltre ad avere scritto gialli divertenti e geniali, era una sorta di spirito dei luoghi di Milano; a partire dal Trottoir, il bar che aveva eletto a suo ufficio e in cui dava forma alle sue mirabolant­i invenzioni linguistic­he; Renato Olivieri, padre del commissari­o Ambrosio: Dario Crapanzano, che ha ambientato i suoi gialli nella Milano dei primi anni Cinquanta. «Oh Milano, fa’ di me quello che vuoi», cantava Alberto Fortis, «Ti lascio tutti i miei progetti / Le mie vendette e la mia età / Oh, non tradirmi, sono vecchio e il tempo va».

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