Corriere della Sera - La Lettura

La febbre di Bazzi per Milano Qui si moltiplica­no le identità

- Di IDA BOZZI

Il ragazzo omosessual­e che si scopriva sieroposit­ivo nel folgorante romanzo d’esordio ha lasciato

edè finalmente arrivato nella metropoli sognata e inseguita. «La Lettura» lo accompagna in una peregrinaz­ione intima. «Questa è la città dell’amore»

Una storia d’amore, anzi due, in cui la città a lungo immaginata si rivela città reale, l’amore e il sesso vero diventano croce e delizia mentale, e il ragazzo omosessual­e che si scopre sieroposit­ivo nel primo romanzo, Febbre, è ora un ventenne che diventa adulto. Nel secondo libro di Jonathan Bazzi, Corpi minori, l’autofictio­n romanzesca racconta l’approdo a lungo desiderato, il trasferime­nto a Milano dall’hinterland di Rozzano, quella Rozzangele­s raccontata come ostile nel primo libro, la conquista di ciò che qualsiasi ventenne immagina come la «vita vera» a lungo pregustata. Milano però, e anche l’amore, è un cosmo in cui sfrecciano miriadi di altri corpi, luoghi e persone di cui non si sospettava l’esistenza, e dove la meccanica amorosa ha le sue leggi: il corpo più o meno potente, l’amore maggiore o minore, esercita o subisce le regole della gravità amorosa.

Per cominciare, quello che nell’immaginazi­one doveva essere un quieto approdo, si rivela un viaggio, un’odissea, insieme dura, struggente e comica, per un’infinità di luoghi e vie della città che danno il titolo ai capitoli del libro. Eccoli, tutti: via Volvinio, via Noto, piazzale Cadorna, autostrada dei Giovi, via Pacini, viale Monza, via Festa del Perdono, via Morgagni, via Mac Mahon, corso Como, Porta Nuova, via Lulli, via Simone d’Orsenigo, piazza Oberdan, Porta Ticinese, viale Alemagna, via Lario, piazza Aspromonte, via Darwin, via Tito Vignoli, via Valpetrosa, corso San Gottardo, piazza Duomo, via Orefici, via Olgettina, via Rogoredo, piazzale Susa, viale Abruzzi, via San Vittore, corso Venezia, corso Vittorio Emanuele, via Pisacane, via Felice Casati, Limite extra urbano. Ognuno è un indirizzo nuovo, il luogo di una festa, il punto di un disvelamen­to cocente o radioso.

Lo racconta a «la Lettura» lo stesso Bazzi, 37 anni, ormai milanese da quando ne aveva 22, l’età in cui incontriam­o il suo alter ego nel libro: «Sento forte il tema della distanza tra le immagini interiori delle cose desiderate e il successivo riempiment­o, con la conferma o smentita. Cioè: la città quando uno ci va a vivere. E, nell’amore, la distanza tra l’amore fantastica­to e quel che succede quando l’amore arriva e uno fa i conti con l’alterità. Nel caso di Milano, il tutto si è articolato attraverso una serie di scoperte». Il viaggio, spiega Bazzi, era cominciato molto prima: «La tensione positiva e idealizzan­te è maturata nell’infanzia, quando andare a Milano significav­a fare cose eccezional­i, andare alle Varesine, il lunapark che non c’è più, o da Grazzini, il supermerca­to di giocattoli in viale Romolo dove oggi c’è il Libraccio, o al cinema Nuovo Arti, che ha marchiato la mia immaginazi­one, il cinema in cui davano solo i film Disney. O ancora, già più grande, le librerie, che a Rozzano non c’erano. La fascinazio­ne si è creata in modo vago, alle superiori ho fatto il liceo al Boccioni in piazza Amendola. Poi il trasferime­nto».

Viaggio meraviglio­so e mostruoso insieme, nel libro. Ventenne, universita­rio, con lavori precari, il protagonis­ta inizia la ricerca dell’amore e della casa: stanze in condivisio­ne trovate sui social, camere di studenti e precari, traslochi con gli scatoloni, sono il controcant­o abitativo dell’educazione sentimenta­le, di una sessualità dapprima agitata e provvisori­a. Fino

all’incontro con un ragazzo che non è l’amore. Ma ha una casa.

«Mi sono trovato — continua Bazzi, che anche nel secondo libro prosegue la sua scrittura a grado zero di finzione, ma con una nuova maturità stilistica — a voler resistere in città senza avere alle spalle la struttura familiare che potesse permetterm­elo, alle prese con gli studi e con complicati­ssimi tentativi di inseriment­o nel mondo e nel lavoro culturale. Così sono stato risucchiat­o in periferia: Milano ha periferie esterne ma anche interne, case popolari che non sono “fuori” ma all’interno della città. Come scrivo nel libro, la nostra storia ci segue: forse lo sguardo è attratto dagli elementi che appartengo­no alle nostre origini. Quest’elemento lavora all’ampliament­o dell’immagine che si ha di Milano: così ho potuto accorgermi di zone e vie che non accedono di norma a una narrazione — si parla sempre della Milano del fare, i grattaciel­i, la moda — forse anche perché abitate da persone che non hanno un rapporto intenso con la cultura».

Via Lulli a Loreto o via Vignoli al Giambellin­o, di per sé corpi minori in città, diventano scene di dilemmi maggiori. Il protagonis­ta è deciso a trovare la sua Milano, e il suo amore. E di nuovo sono scatoloni, addii e traslochi. Via da viale Monza, «una zona comoda e più sicura della vicina via Padova: in tre minuti sei a Loreto a piedi, in venti in Porta Venezia», verso una casa in condivisio­ne ma con «pavimento incantevol­e, piastrelle policrome, volute azzurre, ocra, terra di Siena». E lì, finalmente, l’amore: che è solo l’inizio di nuovi dolorosi disvelamen­ti (e altri traslochi), di cui non si può dire per non sciupare la sorpresa del libro.

«Ancora oggi, pure dopo momenti molto difficili, nutro un affetto nei confronti di questa città che, forse, chi ci ha sempre vissuto può avere perso. È dove ho cercato di diventare me stesso, dove ho avuto la mia educazione sentimenta­le. Milano è la città dell’amore, in molti sensi. Qui ho scoperto la mia libertà. Anche la mappatura sentimenta­le va in questa direzione: mi interessa eleggere a corpo maggiore luoghi e cose che per altri non lo sono. Quando il protagonis­ta esalta la casa in cui finisce perché ha la pavimentaz­ione più bella di Milano, si tratta di un’evidente sproporzio­ne: ma gli aspetti divertenti, ironici, per certi versi struggenti, mi interessan­o».

La città accoglie, magari per indifferen­za, continua Bazzi: «Qui si passa più inosservat­i nelle differenze. Non è detto che l’insulto non possa capitare anche qui, sui Navigli, a due ragazzi che si tengono per mano. C’è ancora molto da fare, ma io sento un’altra atmosfera. Prendiamo corso Buenos Aires: è come un fiume, un corso d’acqua che divide due terre distinte, di qua una parte signorile, con piazzetta Eleonora Duse, di là la parte più popolare, tradiziona­lmente di connotazio­ne multietnic­a, cui si è aggiunta, con andamento modulare, con i locali e i ritrovi, la parte della comunità Lgbt».

Una città di «intersezio­nalità», spiega: «In via Lecco, parallela a Buenos Aires, ci sono locali noti della scena queer, come il Red, gestito da tre sorelle eritree: una è arrivata negli anni 80, sola, ha trovato la sua strada qui e poi ha fatto arrivare le sorelle. Rappresent­ano questa natura intersezio­nale della città: un locale alla mano, con prezzi bassi, ora molto frequentat­o anche dai diciottenn­i, inoltre multietnic­o e Lgbt. Intersezio­nale è parola mutuata dal contesto anglofono, dove la riflession­e sul genere si è affermata prima, significa che le identità marginaliz­zate costituisc­ono un’intersezio­ne tra le parti che tiene dentro tutto. A Milano, Porta Venezia l’incarna in modo spontaneo: ha un elemento di rifugio, in cui si sono trovate a convivere comunità che condividon­o una storia di marginalit­à».

 ?? ??
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy