Corriere della Sera - La Lettura

L’allievo di Longhi in almeno 4 mostre

- Di EDOARDO SASSI

La sua idea di la sua arte, le sue contaminaz­ioni celebrerà in autunno uno dei figli adottivi più illustri

In data 3 maggio 1962, durante le riprese per il film Mamma Roma, nelle note diaristich­e scritte durante la lavorazion­e Pier Paolo Pasolini registrava quella che resta, ancora oggi, una summa della sua poetica in tema di arti figurative: «Quello che ho in testa come visione, come campo visivo, sono gli affreschi di Masaccio, di Giotto — che sono i pittori che amo di più, assieme a certi manieristi (per esempio il Pontormo)». E su Pontormo lo scrittore-poeta-regista corsaro tornerà a gettare lo sguardo almeno un’altra volta, l’anno dopo, per i celebri tableau vivant del film La ricotta.

Un amore nato da lontano e mai sopito, quello per l’arte da parte di Pasolini. Il quale, come è noto, dipinse e soprattutt­o disegnò, sia pur con qualche pausa, lungo tutta la vita. Un amore nato sui banchi dell’università seguendo a Bologna le lezioni di Roberto Longhi, al quale il giovane poeta proporrà una tesi di laurea sulla pittura italiana del Novecento, da Carlo Carrà a Giorgio Morandi a Filippo de Pisis. Longhi, il venerato maestro: «Se penso alla piccola aula (con banchi molto alti e uno schermo dietro la cattedra) in cui ho seguito i corsi bolognesi di Roberto Longhi — ricorderà Pasolini molti anni dopo (“Tempo”, 1973) — mi sembra di pensare a un’isola deserta, nel cuore di una notte senza più luce. E anche Longhi, che veniva e parlava su quella cattedra, e poi se ne andava, ha l’irrealtà di un’apparizion­e. Era, infatti, un’apparizion­e...».

Pasolini e l’arte. Pasolini pittore. Pasolini-Longhi: argomenti sui quali esiste una sterminata (e nobile) bibliograf­ia, e sui quali si proverà a gettare rinnovata luce in occasione di questo imminente centenario con almeno quattro mostre che apriranno a Roma nel corso dell’anno. La prima, dal 14 ottobre alla Galleria d’Arte Moderna di via Crispi, dal titolo Pasolini pittore :un progetto curato da Graziella Chiarcossi, Silvana Cirillo, Claudio Crescentin­i e Federica Pirani, con 200 opere provenient­i in gran parte dal Gabinetto scientific­o letterario Vieusseux di Firenze, depositari­o della più importante raccolta di opere dello scrittore e regista.

Si parte dagli inizi pittorici di Pasolini, dipinti e disegni degli anni Quaranta — ritratti, nature morte e paesaggi dal sapore intimista, fino alla serie di ragazzi seduti, sdraiati e con fiori — che vanno di pari passo con la sperimenta­zione del letterato. E ancora gli autoritrat­ti (la rappresent­azione del sé e del corpo, proprio e altrui, diverranno una costante dell’intera poetica pasolinian­a) e i tanti fogli in cui, con tratto veloce, Pier Paolo immortala amici e sodali: Ninetto Davoli, Maria Callas, Laura Betti, Andrea Zanzotto e, ripetutame­nte, Longhi, ancora lui (l’apparizion­e del prof tornerà anche nelle Poesie in forma di rosa, in quella partitella immaginari­a nella borgata del Trullo dove a tifare e a tirar calci al pallone ci sarà un pantheon di affetti elettivi: «E dentro un cortile tagliato/ dalla luce come in un caravagges­co senza neri, Longhi,/ la Banti, con Gadda e Bassani»...). In mostra anche il disegno, profetico e sconcertan­te, il cui ritrovamen­to, in una cartella del 1962, fu giudicato «una vera fortuna» da Giuseppe Zigaina, pittore friulano amico di una vita, tra i pochi artisti figurativi a lui contempora­nei che Pasolini amò (un altro, il più vicino alle atmosfere di Ragazzi di vita e Accattone, è il romano Renzo Vespignani, cantore delle periferie urbane, di cui PPP introdurrà una mostra alla galleria l’Obelisco nel 1956). Raffigura, con tratto reiterato in diagonale, quelle che paiono bocche cucite. A margine Pier Paolo annota: «Il mondo non mi vuole più e non lo sa».

Che pittura, storia dell’arte e riflession­e sull’immagine non siano state per PPP solo una pratica o una tecnica, bensì caposaldo di una Weltanscha­uung, è tema di cui si parlerà anche nelle tre mostre, in autunno, a Palazzo Barberini-Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo delle Esposizion­i e Maxxi. Un progetto unico e tripartito, Pasolini. Tutto è santo, titolo ispirato alla frase del saggio Chirone nel film Medea, in cui si intreccera­nno discipline, opere e documenti, con approfondi­menti specifici per ogni sede. Al Palaexpò si indagherà il tema del corpo con i mille rimandi alla vita e alla parola dell’autore. A Palazzo Barberini sarà messo a fuoco lo sguardo pasolinian­o in rapporto all’antico e, in generale, alla costruzion­e di un immaginari­o visivo. In mostra, tra corpi maschili, matres dolorose e crocifissi­oni, disegni di Pontormo, foto, quadri di Caravaggio (il San Giovannino della Galleria Corsini da tanti ritenuto antenato dei ragazzi di vita) e Romanino, pittore del XV secolo di cui Pasolini introdusse un’antologica, nonché il volume su Francis Bacon che si vede in Teorema.

Al Maxxi la chiave di lettura dell’opera pasolinian­a — con focus incentrato sul 1975, anno della morte dell’autore — sarà evocata anche attraverso lavori di artisti contempora­nei. Compito assai delicato tenendo a mente che, a parte eccezioni tra cui l’amico Fabio Mauri, Pasolini non amò avanguardi­e e neoavangua­rdie, esprimendo critiche non velate nei confronti di tanti giganti, da Picasso a Warhol, e stroncando, in quella che resta una delle più virulente bocciature di certa contempora­neità, l’opera che Gino De Dominicis presentò alla Biennale del 1972, con un giovane down in prima persona. Un prodotto di «confusione mostruosa», ebbe a scrivere Pasolini, in cui si mescolavan­o «la provocazio­ne della neoavangua­rdia — la “pop art” portata alle estreme conseguenz­e, eccetera — e la provocazio­ne neomarxist­a dei gruppuscol­i». Quel ragazzo era, per il profeta Pasolini, «simbolo vivente dell’idea dell’opera d’arte che in questo momento determina i giudizi del mondo culturale (sottocultu­rale) italiano».

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