Corriere della Sera - La Lettura
EdmundWhite raccontaWhite (postumo)
Il nuovo volume dello scrittore stimato da Nabokov. «Il mio passato è ovunque»
Il destino dello scrittore stimato da Vladimir Nabokov non poteva che essere glorioso. Edmund White, 82 anni lo scorso 13 gennaio, ha stretto un patto con la musa della letteratura nel 1973, l’anno in cui debuttò nella narrativa con Forgetting Elena, inedito in Italia.
Quasi mezzo secolo e una trentina di opere dopo, White torna con un romanzo, A Previous Life, appena uscito negli Usa e di prossima pubblicazione in Italia per Playground. È un esercizio di metafiction, ambientato nel 2050. Un libro audace, sincero — come tutta la produzione di uno scrittore che si porta appresso l’etichetta di cantore della cultura gay — se non altro perché uno dei personaggi si chiama Edmund White. La storia è dominata da un equilibrio precario, conseguenza del divario anagrafico tra i due protagonisti, Constance e Ruggero, una coppia sposata rinchiusa in uno chalet svizzero dopo l’incidente sugli sci di lui. Constance, scrittrice dalla scarsa fortuna di origini afroamericane, ha 30 anni ed è già stata sposata due volte. Ruggero, aristocratico siciliano quarant’anni più vecchio di lei, è un famoso clavicembalista. Quando aveva 41 anni, Ruggero è stato amante del suo idolo, lo scrittore Edmund White, all’epoca ottantenne, ormai scomparso quando si svolgono i fatti del libro (il sottotitolo dell’opera è Another Posthumous Novel, «un altro romanzo postumo»). Ruggero e Constance si sono
conosciuti al consolato francese di New York: la Francia è una delle fissazioni di White, espatriato a Parigi, da sempre rifugio dei romanzieri americani, per 15 anni a partire dal 1983, due anni prima che gli venisse diagnosticato l’Hiv.
Constance, ossessionata dal passato del marito, propone a Ruggero di scrivere le loro memorie e di leggerle ad alta voce. In questo scambio di confessioni dolorosamente oneste, quasi una pièce teatrale dove il sesso è l’attore principale, emerge la vita precedente che dà il titolo al libro e che incrinerà la relazione.
Edmund White ha parlato con «la Lettura» su Skype da New York, dove vive con il marito Michael Carroll, scrittore di una trentina d’anni più giovane.
Il suo primo protagonista, in «Forgetting Elena», soffre di un’amnesia che ne cancella il passato. Adesso torna con un romanzo dove il passato è la bussola dell’amore.
«Il passato è ovunque: ho scritto cinque memoir, buona parte dei miei romanzi è autobiografica. La mia vita è nei miei libri. Nabokov era molto interessato alla sua fama postuma: nell’ultimo romanzo, Guarda gli
arlecchini!, immaginò sé stesso in una sorta di realtà alternativa. Anch’io mi chiedo come verrò ricordato».
Il futuro che immagina non è né distopico né ultra tecnologico ma molto simile al presente. Voleva rassicurare i lettori?
«Ho scelto il 2050 perché sarò morto da tempo. I miei protagonisti sono ricchi, hanno la fortuna di vivere in una realtà che non si altera mai. I miei vicini di casa a Parigi erano i Rothschild: uscivano ogni sera, anche a 80 anni, elegantissimi, incantevoli. Se avessi narrato il destino di persone normali, avrei dovuto immaginare una realtà segnata da povertà crescente, un futuro più catastrofico».
Ruggero è un personaggio autobiografico?
«Esiste, è un nobile siciliano che mi ha scritto 600 email, è stato un mio fan. Suona il clavicembalo. Mi ha lasciato per una persona più giovane. Il conflitto tra Ruggero ed Edmund riguarda l’età. Ho spostato l’azione in là negli anni perché mi interessava sapere come se la sarebbe cavata Ruggero una volta invecchiato, impegnato in una relazione con una partner più giovane».
È stato severo o indulgente con Edmund White?
«È molto peggio di quello che sono nella vita reale.
Sono stato poco indulgente con lui».
Jay McInerney, come lei sofisticato osservatore delle dinamiche sociali, ha scritto che «i matrimoni migliori, come le navi migliori, sono quelli che superano le tempeste». Perché continuiamo a spiare le relazioni altrui?
«La mia amica Susan Sontag diceva che almeno tre quarti dell’umanità può immaginare la vita di coppia, perché in qualche modo la vive o l’ha vissuta. Io e mio marito abbiamo una relazione aperta, stiamo insieme da 30 anni. Michael si prende cura di me, soprattutto dopo che ho avuto due ictus e un attacco di cuore».
In «Un giovane americano» (1982), l’opera con cui si è affermato, ha narrato il sesso senza ipocrisie e censure. Come è cambiata la rappresentazione letteraria dei corpi dopo la devastazione dell’Aids?
«La letteratura americana è diventata più moralista. In parte perché viviamo nell’epoca del politicamente corretto: tutti hanno paura di trasformare le donne o gli uomini in oggetti del desiderio. Il mio libro è passato al vaglio di un sensitivity reader della casa editrice
prima della pubblicazione, per verificare che non offendesse alcuna minoranza. Mi ricorda la censura. Forse con me, scrittore gay, sono meno rigidi. Faccio parte di una generazione che ha avuto grande peso sociale, in un tempo in cui era complicato uscire allo scoperto».
Recentemente è toccato al fumetto «Maus» di Art Spiegelman, proibito in Tennessee per contenuti «scurrili»; e a Norman Mailer, al centro di una polemica per la ripubblicazione di una raccolta di saggi che ne contiene uno dal titolo «The White Negro». Forse oggi anche Philip Roth sarebbe nei guai.
«Ho conosciuto brevemente Roth. Non mi sono mai sentito a disagio leggendo i suoi romanzi. In America il contesto accademico gioca un ruolo decisivo: la sensibilità dei dipartimenti, il loro metro di giudizio, è decisivo per il mercato editoriale. Detto questo, il fatto che sempre più minoranze vengano ascoltate è positivo. Quando insegnavo a Princeton ho assunto, tra gli altri, la scrittrice Yiyun Li, americana di origini cinesi. Il problema delle minoranze in America è che ogni loro opera viene interpretata politicamente, anche quando l’intento non è politico. Ne parlavo spesso con Toni Morrison».
Chi è il prossimo Edmund White?
«Forse il romanziere americano Garth Greenwell, ammiro molto il suo stile».