Corriere della Sera - La Lettura

La «Soluzione finale»

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Dopo avere occupato la Polonia nel 1939, i nazisti costruiron­o a Oswiecim (in tedesco Auschwitz), nella regione di Cracovia, un complesso di lager per la reclusione e lo sterminio dei prigionier­i, in larga maggioranz­a ebrei. Nel primo campo, operativo dal giugno del 1940, venne inaugurato nel settembre 1941 lo sterminio dei reclusi attraverso l’uso del gas tossico Zyklon B, che poi fu usato in modo massiccio nel secondo campo, Auschwitz-Birkenau, a partire dal 1942, quando alla conferenza di

Wannsee, nei pressi di Berlino, venne decisa la «Soluzione finale» attraverso lo sterminio completo degli ebrei. Ad Auschwitz-Birkenau venne ucciso con il gas oltre un milione di persone. Il terzo dei lager principali era Auschwitz-Monowitz, dove i prigionier­i erano impiegati per la costruzion­e di un impianto per la produzione di gomma sintetica. Il complesso di Auschwitz fu liberato dalle truppe sovietiche il 27 gennaio 1945, oggi celebrato come Giorno della Memoria della Shoah.

Decathlon gli stanno distruggen­do i piedi. Cammina un po’ a papera. C’è una discreta varietà a livello di calzature. Una ragazza terrà eroicament­e, per entrambi i giorni, i Moon Boot.

Finita la visita al quartiere invito i ragazzi a tornare nella piazza dello street food. Fa freddo e avrebbero voglia di disperders­i, ma mi accontenta­no. Mi sembra l’occasione per farli sciogliere ancora un po’, e infatti. Ci mettiamo in coda per ordinare la zapiekanka, una sorta di crostone tipico. Martina mi informa che a Bari la chiamerebb­ero «panino sgravato».

Mangiamo in piedi, un po’ protesi in avanti per non farci piovere parti della zapiekanka sui vestiti. Non sono qui per interrogar­li, eppure mi ritrovo a farlo. So anche che sarebbe ingiusto e arrogante tracciare l’identikit di una generazion­e basandosi su questo campione minimo, ma può darsi che sia almeno indicativo.

Nessuno di loro ha letto Se questo è un uomo, giusto in un paio ne hanno affrontati dei passaggi antologici a scuola. Idem per il Diario di Anne Frank. Tutti, però, sanno chi è Liliana Segre, hanno un giudizio di merito e insieme affettivo su di lei, che un ragazzo sintetizza così: «Una grande». Non hanno sentito parlare, neanche di striscio, della recente crisi dei migranti al confine tra Polonia e Bielorussi­a. A casa di qualcuno, ma sono una minoranza, la sera la tv è accesa sul telegiorna­le. «Però parlano solo di Covid, e appena ne parlano mio padre spegne».

Alla fine oso fare la domanda a cui ho girato intorno dall’inizio: che cosa sapevano dell’Olocausto prima di iniziare il percorso con il Treno della Memoria? Che cosa ne sapevano solo grazie alla scuola e al resto? «Sapevamo che Hitler ha sterminato gli ebrei» mi dicono quasi in coro. «E poi?». «Quello».

Il mattino seguente la partenza è molto presto. Arriviamo nel parcheggio del Museo di Auschwitz prima delle nove e di nuovo ci dividiamo nei gruppi. La guida assegnata a noi, Michele, ammette di essere commossa perché è la prima volta che rivede dei ragazzi da due anni. Da quando l’ultimo Treno della Memoria è stato bloccato a Praga, nel febbraio 2020, e rimandato in Italia. «Faccio questo lavoro da dieci anni», dice. «Ma questa notte non ho dormito».

Poi mette in guardia i ragazzi: «Non cercate risposte qui. Il campo vi dirà solo ciò che l’uomo ha potuto fare. Ma non perché l’ha fatto. Le risposte vanno cercate quando tornerete a casa, nello studio».

Ero già stato ad Auschwitz. Avevo preso un treno notturno da Leopoli a Cracovia per arrivarci. Era un periodo strano della mia vita, in cui prendevo treni su tratte remote. Avevo visitato il campo da solo, accodato a un gruppo di francesi. Ma stavolta la visita è diversa. Non

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