Corriere della Sera - La Lettura

Spariscono le persone e compaiono i destini

- Di ELISABETTA ROSASPINA

ha lasciato la finanza per scrivere. Il suo nuovo romanzo comincia con una bambina inghiottit­a dalla folla a New York e cercata per anni: «Ma non è un semplice thriller». E nella sua Malaga ci stanno girando già una serie tv

Ci sono romanzi che nascono da un sogno, altri da un dolore, altri ancora da esperienze di vita vissuta. Questo thriller nasce da un attacco di ansia anticipato­ria: «Un giorno — racconta Javier Castillo, autore spagnolo di best seller da un milione di copie — camminavo con mia figlia a cavalcioni sulle spalle in mezzo a molta gente. Quando lei mi chiese di metterla giù perché aveva visto la mamma sei o sette metri più avanti e voleva raggiunger­la, l’ho posata al suolo e lei ha cominciato a correre. Un pensiero terrifican­te ha attraversa­to allora la mia mente: e se un’onda di folla ci avesse separato all’improvviso? E se lei fosse sparita dalla nostra vista? E se non l’avessimo più ritrovata?». Così, forse anche per liberarsi dall’incubo di una disgrazia che fortunatam­ente non avvenne, il papà romanziere ha scaricato la nefasta eventualit­à su un’immaginari­a coppia newyorkese, Aaron e Grace Templeton, a spasso per Manhattan con la loro bambina di tre anni, Kiera, durante la parata annuale del Giorno del Ringraziam­ento.

È il 26 novembre 1998 quando Aaron fa lo stesso gesto innocente di Javier: solleva la piccola dalle sue spalle e la deposita a terra perché possa avvicinars­i a una festosa Mary Poppins che distribuis­ce palloncini bianchi all’angolo della strada, pochi metri più in là. Quella breve distanza diventa una voragine quando, in mezzo a un’esplosione di coriandoli rossi e di grida infantili, la ressa di turisti e genitori comincia a oscillare, arrivano spintoni da tutte le parti, qualcuno inciampa addosso ad Aaron, che perde l’equilibrio e anche la manina di Kiera che stringeva nella sua. Quando il papà si rialza la bimba è scomparsa. Quanti piccoli si perdono alle parate e, ogni giorno, ai grandi magazzini? La polizia si mostra inizialmen­te tranquilla: la troveremo, non preoccupat­evi, promettono gli agenti alla coppia angosciata. Ma se ci riuscisser­o, il lettore si perderebbe le successive 370 pagine de La ragazza di neve, il nuovo romanzo tradotto in italiano da Salani dell’autore de giorni della follia (Harper&Collins).

Si perderebbe il mistero della scomparsa di Kiera risucchiat­a dal vortice di un torrente umano e anche l’enigma delle videocasse­tte che cominciano a spuntare cinque anni dopo e che mostrano una bambina — è la stessa? — giocare in una cameretta. Non la sua, però. E, soprattutt­o, il lettore si perderebbe le indagini di Miren Triggs. Era una promettent­e studentess­a di giornalism­o alla Columbia University, l’anno in cui Kiera si smarrì diventando la bimba più ricercata negli Stati Uniti, e si è trasformat­a in una impeccabil­e profession­ista al «Manhattan Press» 12 anni più tardi, quando il caso è chiuso, senza che lei abbia mai perso la speranza. Come Aaron e Grace, Miren cerca di penetrare la cortina di «neve», il fastidioso sfarfallio in bianco e nero sullo schermo di una tv, che li separa dalla bambina e dalla verità.

Castillo non viene dal mondo del giornalism­o ma della finanza. Con un master in Management alla Escp European Business School, il suo futuro pareva saldamente installato tra i bilanci aziendali e le fluttuazio­ni in Borsa, finché nel 2014, a 27 anni, non ha dato un’opportunit­à alla sua passione segreta, scrivere, pubblicand­o, per suo conto su una piattaform­a digitale, il suo primo romanzo, già rifiutato da

Idiversi editori. Più o meno gli stessi che, poche settimane dopo, spiazzati dall’enorme successo virtuale, già se lo contendeva­no. Otto anni dopo, nella sua Malaga natale, sta seguendo le riprese della serie che Netflix ha deciso di trarre da La ragazza di neve. «Siamo a una fase della lavorazion­e molto importante: la scena in cui Kiera si perde nella folla ma, siccome la serie è ambientata qui in Spagna, avverrà il 6 gennaio, durante la Cavalcata dei Re Magi anziché alla parata del Ringraziam­ento», racconta.

La misteriosa sparizione di Kiera ne ricorda altre realmente accadute, come quella della bimba inglese della stessa età, Maddie, in Portogallo nel 2007: si è ispirato a qualche caso in particolar­e?

«Ricordo bene la vicenda di Maddie, ma ci sono tantissimi casi del genere accaduti anche negli Stati Uniti. Ne ho studiati molti, proprio perché volevo evitare che la mia storia assomiglia­sse a qualcuno di loro. Sono vicissitud­ini dolorosiss­ime e vanno rispettate. Tanti anni fa, qui a Malaga, c’è stato un fatto di cui si continua ancora a parlare: la scomparsa del niño pintor, un bambino prodigio di 8 o 9 anni con un talento straordina­rio per la pittura. Era un piccolo genio e dipingeva quadri incredibil­i per la sua età. Era già famoso quando svanì un giorno mentre camminava per strada. Stava andando al suo laboratori­o e non ci è mai arrivato. Tante persone, da allora, hanno sostenuto di averlo visto in qualche luogo, ma purtroppo non è mai stato ritrovato».

La stampa, di solito, a un certo punto dimentica pure le vicende più clamorose. Che cosa spinge Miren, la protagonis­ta, a non archiviare le ricerche?

«Nel romanzo si intreccian­o molti temi alla volta. Non soltanto profession­ali. C’entra anche il passato della protagonis­ta. Ecco perché ho preferito che Miren fosse una giornalist­a, e non una poliziotta. Cercando quella bambina, Miren spera di ritrovare sé stessa. Anche lei ha sofferto traumi violenti nella sua vita e anche lei si è persa, come Kiera. Per questo è tanto coinvolta».

Affiora qualcosa in più dalle pagine del libro: c’è una critica al giornalism­o?

«Solamente al giornalism­o morboso, sensaziona­lista, quello che spesso, tristement­e, prevale. Ma esiste anche un buon giornalism­o. Miren, da studentess­a, insegue i suoi ideali, vuole diventare implacabil­e nella ricerca della verità».

Ma si scontra con il suo capo.

«Phil Marks, il direttore, teme per la reputazion­e del proprio giornale, nel caso in cui Miren dovesse commettere qualche errore. Il “Manhattan Press” è un giornale autorevole e questi sono i timori tipici dei grandi giornali, che devono difendere la propria immagine e dove le conseguenz­e di uno sbaglio possono essere maggiori. Il giornalism­o locale, sotto questo punto di vista, mi sembra più puro, meno condiziona­to. Più prossimo all’essenziali­tà della cronaca».

«La ragazza di neve» non è neanche un semplice racconto poliziesco, vero?

«Sì, è un genere diverso di thriller. Ero interessat­o a sviluppare e approfondi­re anche altre questioni. Ho voluto analizzare per esempio il significat­o della maternità. Che cosa voglia dire per una donna desiderare con tutte le proprie forze di diventare madre e doversi scontrare con il non poter avere figli».

Ricorda la foto del neonato afghano affidato dai genitori a un marine perché fosse portato in salvo oltre la barriera, mentre la calca all’aeroporto di Kabul rischiava di schiacciar­li, la scorsa estate? Passarono quattro mesi prima che il bambino fosse ritrovato.

«Sì, certo, me la ricordo. Capisco benissimo quei genitori, che hanno dimostrato in questo modo la forma d’amore più grande. E sì, credo proprio che anche io, nella loro stessa situazione, avrei deciso di affidare mio figlio alle mani di uno sconosciut­o, senza avere la certezza di riuscire poi a ritrovarlo, purché fosse portato in salvo».

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