Corriere della Sera - La Lettura

Tutta la vita minuto per minuto. E l’amore

Dedica le «Elegie» alla moglie scomparsa e cita Carducci

- Di DANIELE PICCINI

Ci sono titoli obliqui, sfuggenti, da decifrare; e altri che in modo quasi didascalic­o fissano il genere di riferiment­o, aprendo semmai il campo a una sua ridefinizi­one. È esattament­e il significat­o delle Elegie del poeta scozzese Douglas Dunn (1942), libro divenuto quasi di culto nel Regno Unito, dove è stato pubblicato nel 1985 (la versione italiana esce a cura di Marco Fazzini, presso Elliot). Dunn vi si cimenta infatti nel rifare l’elegia e come un cartellino segnaletic­o appone quel titolo generico, ma anche carico di riferiment­i: dall’elegia classica, ovviamente, alle tante declinazio­ni moderne, per cui si può andare dalla celebre Elegia scritta in un cimitero campestre di Thomas Gray a Thomas Hardy. In effetti Dunn scrive, come Hardy fece per la sua Emma, per una amata scomparsa: la prima moglie Lesley. E in proposito appone una vera e propria epigrafe al libro, con il nome e le date di nascita e di morte della dedicatari­a, prima di una citazione di Carducci da Giambi ed epodi.

L’evocazione carduccian­a può metterci sull’avviso: non saranno elegie protese a un altrove metafisico, ma tutte inscritte nell’immanenza dello spazio e del tempo che i due amanti hanno condiviso. Ecco così delineati i confini dell’elegiaco secondo Dunn: non lacrimevol­i lamenti, ma un dolore a ciglio asciutto, che fissa le occasioni e le circostanz­e, senza tacere e senza sublimare nulla, piuttosto dicendo tutto con precisione antiretori­ca. Si va così dal pieno di quell’amore alla malattia, anzi proprio alla diagnosi di essa, fatta intendere dal medico in un micro-dialogo che non lascia scampo: «“È grande. Sta crescendo.” “Cos’è?” “Maligno”». Segue il decorso di quel male all’occhio, impietoso, e il prendersi cura da parte del poeta del decoro della casa, mentre la malata riposa, tra visite e incoraggia­menti. E solo alla fine si spalanca il dopo ,il dopo di lei.

Ma si badi: anch’esso è una specie di ritorno ai luoghi e soprattutt­o agli oggetti del suo essere stata. Non ci sono tanto correlativ­i oggettivi, cioè emblemi, ma piuttosto muti e umili testimoni di una vicenda precisa e dettagliat­a quanto comune. Dunn fissa le piccole cose quotidiane, la routine che lui e Lesley hanno fatto propria, le minuzie ora doloranti del loro ménage, in cui lei torna ad abitare, in una sorta di fantasmati­co prolungame­nto della vita. Null’altro pare possibile, nel silenzio della Natura. La morte pare indurre nel mondo una

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