Corriere della Sera - La Lettura
Tutta la vita minuto per minuto. E l’amore
Dedica le «Elegie» alla moglie scomparsa e cita Carducci
Ci sono titoli obliqui, sfuggenti, da decifrare; e altri che in modo quasi didascalico fissano il genere di riferimento, aprendo semmai il campo a una sua ridefinizione. È esattamente il significato delle Elegie del poeta scozzese Douglas Dunn (1942), libro divenuto quasi di culto nel Regno Unito, dove è stato pubblicato nel 1985 (la versione italiana esce a cura di Marco Fazzini, presso Elliot). Dunn vi si cimenta infatti nel rifare l’elegia e come un cartellino segnaletico appone quel titolo generico, ma anche carico di riferimenti: dall’elegia classica, ovviamente, alle tante declinazioni moderne, per cui si può andare dalla celebre Elegia scritta in un cimitero campestre di Thomas Gray a Thomas Hardy. In effetti Dunn scrive, come Hardy fece per la sua Emma, per una amata scomparsa: la prima moglie Lesley. E in proposito appone una vera e propria epigrafe al libro, con il nome e le date di nascita e di morte della dedicataria, prima di una citazione di Carducci da Giambi ed epodi.
L’evocazione carducciana può metterci sull’avviso: non saranno elegie protese a un altrove metafisico, ma tutte inscritte nell’immanenza dello spazio e del tempo che i due amanti hanno condiviso. Ecco così delineati i confini dell’elegiaco secondo Dunn: non lacrimevoli lamenti, ma un dolore a ciglio asciutto, che fissa le occasioni e le circostanze, senza tacere e senza sublimare nulla, piuttosto dicendo tutto con precisione antiretorica. Si va così dal pieno di quell’amore alla malattia, anzi proprio alla diagnosi di essa, fatta intendere dal medico in un micro-dialogo che non lascia scampo: «“È grande. Sta crescendo.” “Cos’è?” “Maligno”». Segue il decorso di quel male all’occhio, impietoso, e il prendersi cura da parte del poeta del decoro della casa, mentre la malata riposa, tra visite e incoraggiamenti. E solo alla fine si spalanca il dopo ,il dopo di lei.
Ma si badi: anch’esso è una specie di ritorno ai luoghi e soprattutto agli oggetti del suo essere stata. Non ci sono tanto correlativi oggettivi, cioè emblemi, ma piuttosto muti e umili testimoni di una vicenda precisa e dettagliata quanto comune. Dunn fissa le piccole cose quotidiane, la routine che lui e Lesley hanno fatto propria, le minuzie ora doloranti del loro ménage, in cui lei torna ad abitare, in una sorta di fantasmatico prolungamento della vita. Null’altro pare possibile, nel silenzio della Natura. La morte pare indurre nel mondo una