Corriere della Sera - La Lettura
Io amo, riamato L’intimismo diventa politico
Aggirandoci nella produzione recente ci accorgiamo che abbiamo ripreso a commuoverci. La letteratura svela come questa specie di romanticismo copra un’infelicità collettiva nella quale ciascuno tifa per gli affetti degli altri vedendoci i propri
Dove si sta, se non nell’amore? Quali altre destinazioni ci sono concesse, quali altre case? I protagonisti de Il cuore non si vede di Chiara Valerio o di Sesso più sesso meno di Mario Fillioley sono tenuti in vita dalla prossimità fisica ad altri esseri umani. Quelli del più recente romanzo di Luca Ricci, Gli invernali ,odi Randagi di Marco Amerighi, o ancora di Sempre soli con qualcuno di Annalisa De Simone, abitano più stabilmente l’altalena tra flirt, tradimento, rifiuto e desiderio che stanze, appartamenti e città: ondivaghi nel lavoro, nelle prospettive, nelle idee, sono riusciti a costruire, e a tessere solide reti, solo nelle questioni di sentimenti.
Accade anche a Claudia e Francesco, protagonisti di Spatriati di Mario Desiati, un romanzo che si comporta con l’amore come secondo la tradizione ebraica si dovrebbe fare con la divinità, ovvero evitando di dirne il nome per non profanarla, e limitandosi piuttosto a indicarne le tracce terrene per dimostrare che esiste. Desiati, da anni, porta avanti un discorso letterario teso a erotizzare ogni aspetto dell’esistenza eccetto, paradossalmente, ciò che è erotico per natura e convenzione, con il risultato di decostruire ciclicamente amore e sesso e renderli cosa nuova, rara, misteriosa. In Spatriati l’affetto è un luogo, una destinazione mobile. Durante tutto il romanzo, Francesco si sposta verso Claudia, ambisce a vivere presso lei e, di fronte a intralci e frustrazioni, si consola così: «Mi aspetvoce tava Claudia e la vita complice che avevamo da trascorrere insieme, mi aspettava l’unica patria che sapeva riconoscermi». La sola possibile: «Quella in cui non rispondiamo a nessuno di ciò che siamo».
Certo, esiste anche la possibilità che l’amore romantico sia tornato di moda perché, semplicemente, ne avevamo bisogno. Il virus non ha solo riscritto il linguaggio pratico e legale dei nostri sentimenti — chi sono i «congiunti»? Cos’è una famiglia? Come si dimostra legalmente che ci si vuole bene, che ci si è reciprocamente necessari? — ma ha anche imposto un atteggiamento autoriflessivo: chiusi in casa, siamo stati tutti un po’ ubriachi, più innamorati del solito. Chi perché impossibilitato a trovare compagnia, chi perché molto grato per il fatto di averne una, chi perché improvvisamente nostalgico. Le coppie si sono scrutate; famiglie e amici hanno abitato come fantasmi e proiezioni di felicità le linee d’orizzonte nelle crepe del soffitto.
Che però questo nuovo riflusso nel privato sia nato dall’esigenza collettiva di un riavvicinamento, come naturale conseguenza del distacco sociale, si può dire solo a proposito di opere sorte dopo o durante la pandemia: Corpi minori di Jonathan Bazzi, per esempio, o Brividi ,la canzone di Mahmood e Blanco che ha vinto il Festival di Sanremo, o ancora Fedeltà, la serie tratta dall’omonimo romanzo di Marco Missiroli.
Bazzi racconta i tumulti di una relazione ricorrendo, con onestà, a un registro scopertamente romantico. «Sorrido e mi si svuota il cuore, ma non dico nulla. La che sussurra di nuovo, ancora: è finita, basta menzogne. [...] Inspiro, ti amo? Espiro, non ti amo più». In Brividi, frasi come «Ti vorrei amare, ma sbaglio sempre» e «Per un “ti amo” ho mischiato droghe e lacrime» riassumono efficacemente quello che sembra il Leitmotiv dell’Europa giovane di oggi, una combinazione di emozioni molto familiare a chiunque abbia letto, per esempio, i romanzi di Sally Rooney o Naoise Dolan: da un lato la voglia di amare e lasciarsi amare dolcemente, dall’altro le frenate repentine imposte dal senso di inadeguatezza. Fedeltà, invece, è un caso particolare. Il romanzo da cui la serie è tratta fa parte, ormai ufficialmente, di un’altra epoca, ma nella sua mise televisiva sembra rispondere a un’esigenza nuova: la fantasia insolente di poter tornare a rovinare la normalità e la stabilità che in questi ultimi due anni abbiamo invocato fino a santificarle. Amare e anche tradire, purché si viva, purché l’amore si ripensi in continuazione. Un po’ come la forma-romanzo: tenuta in vita dalla perversione di darla quotidianamente per morta.
È forse anche per un’esigenza di imbrattamento e decostruzione — coerente con il «metodo Desiati» — che siamo più seri nel problematizzare l’amore. Meno inclini a derubricarlo a cosa inconciliabile «con la salvaguardia del plurale sull’individuale». Poco prima di questo periodo di pensosa sbracatura, la strada era stata aperta da tre romanzi sulla sofferenza dell’abbandono: La femmina nuda di Elena Stancanelli, Il cuore è un cane senza nome di Giuseppe Zucco e Un solo pa