Corriere della Sera - La Lettura
Scongelerò 224 voci, canteranno Rabelais
prepara la prima mondiale della sua nuova composizione, una commissione della Philharmonie di Parigi: cori di bambini e di dilettanti, e interpreti professionisti, per una pagina ispirata a «Gargantua e Pantagruele»
Lucia Ronchetti, oltre a essere una compositrice importante — e direttore artistico della Biennale Musica di Venezia per il quadriennio 2021-2024 — sa raccontare il proprio lavoro con trasporto. Con «la Lettura» lo ha fatto al telefono da un angolo silenzioso dell’aeroporto tedesco di Francoforte, dove stava aspettando un volo per Roma. Racconta di alcuni recuperi di sue opere rimaste ferme per la pandemia. A partire da Les paroles gelées («Le parole gelate»), ispirata al quarto libro (1548) di Gargantua e Pantagruele di François Rabelais, commissionata dalla Philharmonie di Parigi, dove andrà in scena in prima mondiale il 19 marzo. «Ci sono appena state dieci repliche di un mio lavoro alla Staatsoper di Berlino, una mia opera prevista a Düsseldorf è stata invece rimandata alla prossima stagione, ma ne ho appena finita un’altra per il Festival di Schwetzingen in coproduzione con Lucerna. Ora sto lavorando fra l’altro a un mio sogno: un’opera corale sulla solitudine giovanile con testi presi dallo Zibaldone di Leopardi, che porterò a Colonia con un coro di ultraottantenni e un altro coro».
Ci parla del testo di Rabelais?
«L’ho scoperto durante la mia triste giovinezza romana, dove ho frequentato un liceo di periferia nel quale non c’era l’opzione fra l’inglese e il francese. Si poteva studiare solo francese. Fu forse la mia fortuna, perché il professore era bravissimo e conosceva Rabelais molto bene. Quel libro è straordinario».
Che tipo di organico ha previsto?
«Ci saranno cinque cori di età diverse, ognuno dei quali formato da 36 voci. Tutti avranno a disposizione anche una canna d’organo di legno, che potranno usare soffiandoci dentro, oltre a cantare. L’idea è che ogni coro possa essere un’espansione dell’organo principale che sta in sala».
(Ride) «Sono un po’ di più, 224, perché a queste 180 voci, che sono tutte di dilettanti, vanno aggiunte le voci di 40 bambini (maschi e femmine) e l’ensemble vocale Les Métaboles, 4 voci maschili, di professionisti in questo caso, che vestiranno i panni di Pantagruel, del Pilota, di Frère Jean e di Panurge».
Come disporrà in sala queste voci?
«Per gruppi in diversi punti strategici. I bambini all’inizio saranno invece al buio, in mezzo al pubblico. Poi usciranno».
Lei ama lavorare spesso con formazioni molto grandi.
«Le mie opere corali sono fatte con tantissime persone, distribuite nello spazio scenico che così viene creato direttamente dalla posizione delle voci».
Qual è il frammento testuale di Rabelais che ha usato per quest’opera?
«Pantagruel e i suoi amici vanno in nave verso il Polo Nord e lì trovano le parole ghiacciate, pezzi di ghiaccio colorati che contengono i suoni catturati e congelati di una vecchia battaglia e quando si sciolgono rilasciano quelli stessi suoni».
Che cosa l’ha affascinata?
«Il fatto che tutte queste parole insieme creino un paesaggio acustico. È la prima descrizione nella letteratura di un’opera di musica concreta (è una corrente avviata nel 1948 da Pierre Schaeffer, con suoni e rumori ambientali impiegati nella composizione, ndr). Rabelais nel 1548 immagina non solo che questi suoni possano rimanere registrati nel ghiaccio ma anche che, quando vengono sciolti, sono oramai tutti sparsi e non più in ordine, quindi producono un paesaggio sonoro anarchico. Ho deciso di dedicarmi a questo progetto proprio per realizzare il sogno di Rabelais di ridare vita a queste parole congelate. È anche un modo, a latere, per riflettere su cosa una persona possa fare con le parole».
Torniamo alle voci: dove trova tutti questi volontari?
«Facciamo delle call, delle chiamate, con il teatro. I cori che rispondono arrivano con forti motivazioni e passione».
I più bravi?
«In quest’opera i bambini, che hanno tra i 6 e 12 anni. Sono gli unici che hanno memorizzato i 25 minuti di partitura. Sanno sempre dove devono attaccare».
Quanto rischia con cori di dilettanti?
«Le loro voci non sono tarpate come quelle dei professionisti: quando cantano si lanciano in emissioni gutturali, in acuti coraggiosi... Hanno spontaneità, entusiasmo, forza di volontà e sono naïf».
E i cori italiani?
«L’Italia è il Paese dei cori e degli ensemble vocali. Se uno è ateo e ascolta cantare musica sacra dalla Cappella Marciana a Venezia può diventare credente (ride, ndr). Per la mia opera Inedia prodigiosa sull’anoressia ho usato cori nostri».
Ma lei canta?
«No, no, sono pure stonatissima, anche se uso lo stesso la mia voce per spiegare ai coristi come vorrei certi passaggi della partitura. A volte si spaventano...».
Tema della sua prossima Biennale?
«Teatro sperimentale, happening, opera radiofonica, installazioni, performance, non per forza legati alla voce».
Nella scena europea come si muovono i compositori italiani?
«Si fanno battaglia fra di loro, perché nelle grosse istituzioni se passa un italiano prima non ne passerà un altro dopo. È una scena dove siamo tutti amici, ma tutti rivali. Forse più rivali che amici...».
Lei è competitiva?
«Io? Moltissimo» (ride ancora).