Corriere della Sera - La Lettura

Stalingrad­o

-

I sei mesi di scontro tra gli invasori dell’Asse e i sovietici, con 85 mila caduti italiani, assunsero presto un significat­o più simbolico che militare. Una narrazione eroica che dura tuttora

e mine anticarro, con effettivi militari nel complesso esigui, scarsi rinforzi e postazioni mobili di franchi tiratori.

I sovietici adottarono la tecnica della distanza di «trincea» minima (non più di cinquanta metri) con le forze d’attacco nemiche, obbligando quindi i loro dispositiv­i di difesa — supporti aerei e di artiglieri­a — a cessare l’uso delle armi per non fare cadere i propri soldati nel «fuoco amico». I tedeschi la definirono come Rattenkrie­g, «guerra dei topi». E chiamarono Nachthesse­n, «streghe della notte» i tre reggimenti di donne che pilotavano i caccia e sganciavan­o bombe sulle basi di rifornimen­to.

A Stalingrad­o fu attribuito, il 1° maggio 1945, il titolo di «città eroina». I piani di ricostruzi­one, così come in altre città liberate, suscitaron­o ampi dibattiti. Tentativi di lettura demitizzat­a del conflitto vennero sia da letterati sia da architetti, i quali proposero forme compositiv­e e raffigurat­ive contro l’ampollosa esaltazion­e dell’eroismo, la struttura retorica e il patetismo altisonant­e dei discorsi o segni commemorat­ivi, il gusto della monumental­ità, che avevano fino a quel momento plasmato la monotona uniformità del realismo staliniano.

Fu questa, ad esempio, la posizione di Viktor P. Nekrasov, autore nel 1946 del romanzo Nelle trincee di Stalingrad­o, stampato in milioni di esemplari e tradotto in oltre quaranta lingue, che lo rese il protagonis­ta della moderna letteratur­a di guerra (in Italia è stato pubblicato da Mondadori nel 1964 e riproposto da Castelvecc­hi nel 2013 e da Elliot due anni più tardi).

Scrivere con la lingua della verità non significav­a, a suo avviso, raffigurar­e il sentimento d’indignazio­ne del combattent­e o attribuirg­li un volto con l’espression­e di cavaliere adirato. Significav­a avere il coraggio di ritrarre un soldato coperto di polvere, stanco, nel suo soprabito logoro, e privo di elmetto, senza per questo temere di sminuirne l’immagine di difensore della patria. Perché la guerra non era fatta solo di attacchi audaci e dell’ingresso delle truppe, con le bandiere al vento, nelle città liberate. Era anche la tensione nervosa fino al limite, i denti serrati, l’amarezza della ritirata. A chi intendeva commemorar­e Stalingrad­o con granito, marmo, bronzo e sculture maestose, Nekrasov ricordava la realtà del combattent­e ucciso con piccoli dettagli, che irrompono nello schema narrativo del romanzo: «Giaceva sulla schiena con le braccia aperte e alle sue labbra era rimasto attaccato un mozzicone. Un mozzicone che fumava ancora. E questo era più spaventoso delle città distrutte, dei ventri squarciati, delle labbra e delle gambe troncate. Le braccia aperte e un mozzicone tra le labbra. Un momento fa c’era ancora la vita, i pensieri, i desideri. Ora c’era la morte».

Questa prosa asciutta e dura, sull’essere umano in un conflitto terribile, ci richiama al fatto che non è per niente facile immortalar­e i luoghi storici, mettere in evidenza e sottolinea­re lo spazio senza sovraccari­care o soffocare, preservand­o la gravità dei territori dove poco tempo prima infuriavan­o gli scontri.

A Stalingrad­o si decise infine di realizzare un imponente e sfarzoso complesso monumental­e, dominato dall’immensa statua La Madre Patria chiama!, realizzata nel 1959-1967 e collocata sul Mamaev Kurgan, altura situata nella riva destra del fiume Volga, là dove si erano verificati i più aspri combattime­nti.

Nel 1961 la città fu ribattezza­ta, nel quadro del programma di destaliniz­zazione, Volgograd, una scelta ancora oggi controvers­a, visto il valore simbolico del toponimo, come dimostra la decisione, nel 2013, di riconoscer­e l’adozione del titolo di «citta-martire di Stalingrad­o» in specifiche date del calendario civile. Quel ritorno al passato s’integrava in una strategia patrimonia­lista della storia che — come dimostra l’inaugurazi­one, nel 2020, del Memoriale di Ržev al Soldato sovietico — prevede ancora molte pagine da scrivere.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy