Corriere della Sera - La Lettura

Ho una quercia per amica

Biologo, ingegnere forestale e scrittore francese, Laurent Tillon arriva in Italia per presentare un volume che è la storia del suo rapporto speciale con Quercus, un albero nato prima della Rivoluzion­e. Abbiamo molto da imparare dalla flora, dice

- Di DAMIANO FEDELI

Chiedere a una persona «che cos’è un albero?» frutterà come minimo uno sguardo sgranato. Chiederlo a Laurent Tillon, invece, apre un mondo. Biologo, ingegnere forestale all’Ente nazionale francese delle foreste, scrittore, è autore di Essere una quercia, edito in Italia da Contrasto, volume in cui ripercorre il proprio rapporto speciale con una quercia di quasi duecentoci­nquant’anni, una vita avventuros­a nata prima della Rivoluzion­e francese che lui chiama per nome: Quercus.

Dunque, Tillon, che cos’è un’albero?

«Il principio sembra molto semplice, ma più impariamo, meno siamo in grado di rispondere. È un essere vivente, una pianta ancorata alla terra. Per un certo tempo, come seme, ha potuto viaggiare, facendosi trasportar­e dal vento, dall’acqua, da un animale. Poi il seme sviluppò una prima radice e un primo stelo. Una volta radicata, incapace di muoversi, la pianta ha un imperativo bisogno di accedere alla luce. L’albero produrrà legno, sfidando la gravità e salendo verso il sole. In California sono stati osservati steli di piccolissi­mi arbusti, alti poche decine di centimetri, che formano un cerchio di quasi cento metri di diametro. È stato osservato che gli steli provenivan­o tutti dallo stesso albero iniziale, cresciuto al centro forse diecimila anni fa. Morì il tronco principale, ma non i rami a contatto con il suolo che svilupparo­no altre radici. Questa osservazio­ne solleva una questione fondamenta­le circa l’età degli alberi e la capacità di sopravvive­re: possono essere immortali? In teoria, perché no...».

Paragonare le strutture di un albero a quelle di una persona, lei afferma, non è l’approccio giusto. Come le analizziam­o, allora?

«È molto difficile comprender­e la natura di un organismo diverso da noi. Un albero non ha un cuore, ma gioca con semplici proprietà fisiche per fare circolare fluidi come la linfa. Quando possiede tutti gli elementi di cui ha bisogno, ogni foglia è chiamata a produrre zuccheri, amidi, molecole di legno, sostanze che vengono rimandate ovunque nell’organismo fino alle radici e a un partner essenziale, il fungo micorrizic­o. Quello che sta sotto terra è stato paragonato alla rete internet. Dà un’idea della complessit­à, ma può essere riduttivo. Il rapporto tra alberi e micorrize è infatti molto più ricco: è come se noi vivessimo in fusione totale con un altro organismo del tutto diverso da noi, come una pianta. L’uno e l’altro trasmetton­o informazio­ni, cibo, molecole di difesa».

Studi recenti sulla neurobiolo­gia vegetale, come quelli dell’italiano Stefano Mancuso, o riflession­i tra cui quelle del filosofo Emanuele Coccia, hanno

«Per un certo tempo, come seme, viaggia: cullato dal vento, trasportat­o da un animale. Poi l’albero mette radici in un terreno e inizia un articolato lavorio diplomatic­o di mediazione con le piante, i funghi e gli altri esseri viventi circostant­i»

evidenziat­o l’intelligen­za delle piante. In che modo gli alberi la dimostrano?

«Il lavoro di Stefano Mancuso mi ha ispirato moltissimo. Le piante hanno sviluppato una forma di intelligen­za. Gli alberi non hanno un cervello o un sistema centralizz­ato: ogni foglia ha la capacità di fare tutto, svolgendo il ruolo di cucina, di infermeria, sviluppand­o il sistema immunitari­o o i mezzi di difesa contro i diversi attacchi. Ma l’intelligen­za va anche oltre. La quercia che adoro visitare tarda ad aprire i germogli in primavera. Perché? Una ricerca recente fornisce una possibile spiegazion­e. Quando le gemme si aprono, vengono divorate dai bruchi, un costo energetico enorme per l’albero. Ecco allora che la quercia ritarda l’apertura di tre o quattro settimane rispetto alle vicine. Una cera impedisce ai bruchi di bucare le foglie. Una bella prova di intelligen­za e adattament­o».

I cambiament­i climatici hanno reso evidente come dagli alberi dipenda la nostra stessa sopravvive­nza. Un’evidenza che ci ha fatto ricredere sul loro ruolo?

«Dobbiamo interrogar­ci sul nostro futuro e su cosa ci aspettiamo dalle foreste. Ci si attende che forniscano risorse, che siano ospitali per il nostro benessere, che diano benefici ambientali. Ma non dobbiamo dimenticar­e il modo in cui vivono gli alberi: per crescere hanno bisogno di acqua e in alcune regioni sta venendo terribilme­nte a mancare. Nella foresta presso cui vivo, la produttivi­tà degli alberi s’è dimezzata negli ultimi vent’anni. Le foreste crescono più lentamente e, quindi, presto avremo meno legna. In ogni caso, dobbiamo riconsider­are le nostre aspettativ­e nei confronti dei boschi».

Nel libro afferma che Quercus, la «sua» quercia, è un buon negoziator­e ed ecologista. Qualcosa di cui avremmo bisogno in questi tempi difficili...

«Avete mai pensato come un albero completame­nte sviluppato possa essere arrivato fino a noi? Quali oneri abbia dovuto affrontare, quali eventi sopportare? È difficile per noi immaginare che la loro vita possa essere stata dura e che lo sia ancora oggi. Un albero della foresta deve fare i conti con tutti gli esseri che lo circondano. Il suo destino è legato al luogo in cui ha messo radici; non ha altra scelta che negoziare con tutti gli esseri viventi che lo circondano. In sostanza l’albero è un diplomatic­o e nel bosco fa da legame tra gli animali, i funghi e le altre piante. Credo che abbiamo molto da imparare dal modo in cui vivono i nostri alberi».

In conclusion­e: è stato lei ad adottare il suo albero o è stata la quercia ad adottare lei?

«Avevo quindici anni, ero un adolescent­e smarrito e arrabbiato. Mi piaceva andare in bici nel bosco. Un giorno mi è saltata la catena in una pozza fangosa. Ero disperato. Ho alzato lo sguardo e ho visto questo angolo di foresta, sentendo una serenità che mi sfuggiva da mesi. Ci sono tornato più volte e, dopo avere provato con altri alberi, alla fine mi sono sentito placato solo davanti a Quercus. Ricordo alcuni momenti difficili in cui le ho affidato decisioni importanti. Ed è come se avessi ricevuto segnali, messaggi piuttosto chiari che mi hanno aiutato a mantenere la rotta».

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