Corriere della Sera - La Lettura
A proposito di catastrofi: i filosofi e il sisma di Lisbona
Andrea Tagliapietra riunisce Voltaire, Rousseau e Kant
Nella sua lunga storia l’umanità ha fatto strenui sforzi per comprendere la natura delle cose del mondo e del loro intreccio, ma nello stesso tempo ha fatto anche uno sforzo, altrettanto eroico, per non capirle. Tale discorso può apparire paradossale, ma rappresenta l’unica maniera che abbiamo per spiegare il motivo per cui in certi campi del sapere siamo andati avanti tanto velocemente, mentre in altri le cose procedono così lentamente e in altri ancora non ci siamo ancora nemmeno staccati dal via. In fondo nell’antica Grecia la verità prendeva spesso il nome di alètheia, come dire un’occhiata a qualcosa di velato oppure anche disvelamento, smascheramento.
Di tal genere erano i miei pensieri mentre leggevo Filosofie della catastrofe curato da Andrea Tagliapietra (Raffaello Cortina), un’opera sorprendentemente in linea con gli eventi che stiamo vivendo: lo spartiacque del coronavirus, lo spartiacque della guerra in Ucraina.
Vi sono raccolte alcune pregnanti pagine di Voltaire, Rousseau e Kant sull’argomento delle catastrofi improvvise, precedute da una lunga introduzione del curatore, che già in passato si era meritoriamente occupato del tema. Il riferimento storico è rappresentato dal terribile terremoto di Lisbona di metà Settecento. Charles Lyell, geologo scozzese, scrisse: «Mai, nei tempi moderni, nelle regioni vulcaniche dell’Europa del sud si era verificato un terremoto uguale allo spaventoso sisma che colpì Lisbona il 1º novembre 1755. Durante sei spaventosi minuti, morirono 60 mila persone. Il mare prima si ritirò, lasciando il molo e la riva a secco, con tutte le navi e le barche che vi erano ormeggiate, quindi tornò rombando, sollevandosi di quindici metri oltre il suo solito livello». «Contemporaneamente», incalza l’imperturbabile Kant, «furono sconvolte le acque entro un raggio sorprendentemente ampio». E questo fu solo l’inizio.
Il terremoto fece epoca. Per più ragioni. Lisbona era all’epoca una fiorente città di mare dove fervevano ricchi traffici e commerci, capitale di un Paese fortemente cattolico, con alle spalle una lunga storia di evangelizzazione verso i popoli del nuovo mondo. In aggiunta, il sisma coincise con la festa di Ognissanti e distrusse quasi tutte le più importanti chiese della città.
L’eco dell’evento fu amplissima in Europa e scosse le coscienze di una generazione, originando profonde riflessioni sulla natura di Dio e sull’inspiegabilità delle sue «punizioni». Per tutti i teologi e i filosofi del XVIII secolo questa inaudita manifestazione della collera divina rimase un mistero e fu di stimolo a varie riflessioni. Nell’aria spirano nientemeno che i venti dell’Illuminismo: è in questa cornice che l’evento si inserisce. La questione da ponderare non è di poco conto: la provenienza del male nel mondo o, se preferite, la posizione di Dio rispetto al male nel mondo. È chiaro poi che tutta la problematica è riconducibile alla domanda se possa esistere o meno una religione rigorosamente monoteista.
All’inizio del secolo Leibnitz battezzò «teodicea» la problematica in questione e da allora si sono susseguite molte interessantissime riflessioni e speculazioni filosofiche sul tema. Di questo parla il libro di Tagliapietra, ma in maniera molto concreta, più con i fatti che con le speculazioni. Come secondo me dovrebbe sempre essere.
Dimenticavo: per quale ragione non abbiamo voluto capire qualcosa?