Corriere della Sera - La Lettura
Predoni bianchi sull’isola dei mille tesori
Già la Bibbia vi accennava, poi arrivarono portoghesi, olandesi e soprattutto inglesi. Una storia di meraviglie e di sistematica spoliazione che Ambrogio Borsani racconta (non solo) attraverso gli scrittori, Guido Gozzano compreso
«Se un giorno, attraverso passaggi remoti, si dovesse scoprire il luogo dove è situato il Paradiso, qualche generale ambizioso e intraprendente sicuramente preparerebbe l’attacco per conquistarlo. Non con le preghiere, i sacrifici, le opere di bene, ma con le armi. Roba spiccia, moderna, letale... L’uomo oramai dispone di armi talmente devastanti che sarebbe difficile resistergli. Probabilmente Jahvè è rimasto alle vecchie tecniche di tuoni e fulmini che usava per spaventare i nostri antenati e non sarebbe in grado di difendersi... Così si troverebbe spiazzato di fronte a un attacco con le diavolerie inventate dalle sue creature. Il Demiurgo aveva nascosto l’uranio nelle grotte sotterranee di Tortkuduk, di McArthur River, di Fuzhou, ma gli uomini le hanno scoperte. Lui aveva ideato atomi compatti e resistenti, ma dai e dai l’uomo è riuscito a spaccarglieli». Da una lieve, efficace ironia è percorso Assalto al paradiso, di Ambrogio Borsani: un diario di viaggio; una guida all’esplorazione sentimentale dell’isola che fu chiamata Taprobane, Ceylon (nome britannico mantenuto fino al ’72) e infine Sri Lanka; un reportage che raggiunge considerevoli vette letterarie, specialmente nei capitoli dedicati agli scrittori che da questa «goccia in caduta statica dall’India verso il Sud» furono sedotti e mai abbandonati.
Stato insulare dell’Oceano Indiano, separato dall’India peninsulare dallo Stretto di Palk, lo Sri Lanka e le sue ineguagliabili bellezze naturali — e i suoi rubini, le sue spezie — hanno sempre attirato conquistatori. Cominciarono i portoghesi, poi arrivarono gli olandesi, quindi gli inglesi. «L’Europa, culla di civiltà — scrive Borsani — veniva all’Equatore a distruggere le civiltà degli altri». Civiltà millenarie rimaste impresse nei sontuosi resti archeologici, nei canoni di Buddha passati in forma scritta, nelle raccolte in sanscrito vedico di testi sacri; civiltà che si erano evolute ben prima della nascita di Cristo: architetture progredite, piani urbanistici di indiscutibile modernità. Tutto questo che peso poteva mai avere di fronte al commercio di spezie per le quali l’Europa sembrava impazzire? Pepe e soprattutto cannella. Quella di Taprobane era stata elogiata nientemeno che dal greco Strabone; e a voler andare più su, delle virtù del cinnamomo vi è traccia perfino nella Bibbia! Sicché i cattolicissimi portoghesi se l’assicurarono prendendosi direttamente la terra dove nasceva.
Borsani, dichiarato l’amore per questo frammento di terra, denuncia con ragionato istinto i secoli di vessazioni subite da popolazioni che, in una spietata distribuzione dei ruoli, hanno avuto in sorte di trovarsi eternamente dalla parte dei dominati. Nel trascorrere da un capitolo all’altro, l’autore ci conduce da una parte all’altra dell’isola, dalle sue acque di smeraldo all’impronta del piede di Adamo a 2200 metri di altitudine: terra desolata per sorte e sfolgorante per natura. I capitoli più belli, magnificamente scritti, sono quelli dedicati agli scrittori e ai loro approdi sull’isola che Tommaso Campanella aveva scelto come luogo della Città del Sole. Incontriamo così Arthur C. Clarke, che vi dimorò per oltre cinquant’anni, immaginando qui 2001:
Odissea nello spazio e impelagandosi in una brutta faccenda che coinvolgeva dei ragazzini. Pablo Neruda arrivò nella capitale Colombo nel 1927, e per sempre trattenne «il tagliente suono» dell’isola, «il suo immenso scintillio». E vi sbarcò anche Leonard Woolf, prima di sposare Virginia, passandovi 7 anni nel Civil Service ma rimettendo il mandato e andandosene quando gli ordinarono di dare fuoco alla capanna di un indigeno. Noti, poi, i circoli della cultura omosessuale presenti sull’isola e frequentati, tra gli altri, da Geoffrey e Bevis Bawa. «I moralismi dell’impero britannico — chiosa Borsani — non comprendevano il divieto di occupare territori di altri popoli».
Le pagine più toccanti sono quelle dedicate a Gozzano, nel capitolo intitolato Il Natale di Guido Gozzano, in riferimento alla prosa Un Natale a Ceylon, pubblicato a pochi mesi dalla morte del poeta nella raccolta Verso la cuna del mondo (Treves, 1917). Un Natale che Gozzano racconta di aver vissuto immerso nelle atmosfere di Ceylon, ma sappiamo che i suoi ricordi sfumano nella trasfigurazione letteraria. Gozzano infatti, già affetto da tubercolosi, era stato sì sull’isola ma solo nei primi mesi del 1912. Ma che importa? Il Natale a Ceylon del poeta delle farfalle incompiute e delle rose non colte finisce per essere più vero del vero. «Non c’è altro di buono nella vita. Muoversi di continuo — scrisse — verso l’altrove... Uscire di sé stessi».