Corriere della Sera - La Lettura

Venezia ritorna capitale del mondo

Eventi Apre il 23 la Biennale «Il latte dei sogni». Ecco chi c’è

- Di PIERLUIGI PANZA

Il latte dei sogni è il titolo della Biennale che si inaugura il 23 aprile attorno alla quale Venezia riscopre il proprio volto di protagonis­ta dell’arte contempora­nea. Sono 180 le prime partecipaz­ioni di artisti, soprattutt­o donne, tra le quali Simone Leigh, prima afroameric­ana al Padiglione statuniten­se: ha realizzato enormi sculture femministe in stile Black Panther vernacolar­e. In tutto saranno esposte 1.433 opere, 80 nuove produzioni, con sette installazi­oni site-specific — della videoartis­ta Barbara Kruger (Usa), dell’argentino Gabriel Chaile con le sue sculture mesoameric­ane, di Giulia Cenci (Italia), di Delcy Morelos (Colombia) all’Arsenale (oltre alla Leigh); e poi della fotografa Louise Lawler (Usa) e di Cosima von Bonin (Germania, nata in Kenya) con i suoi pupazzoni ai Giardini.

A parte il gigantismo pro selfie, la curatrice, Cecilia Alemani, intende recuperare il contributo femminile trascurato da una storia dell’arte bianca e occidental­e (la Alemani vive negli Usa dei cultural studies )elasciare libertà a temi ispirati dagli stessi artisti/e. Il primo tema è la rappresent­azione della metamorfos­i dei corpi: ciò avviene al di fuori della tela in situazioni sia di rielaboraz­ione della tradizione sia attraverso dispositiv­i meccanici che interagisc­ono con forme di vita. Un video di Egle Budvytyte ritrae un gruppo di giovani sperduti nelle foreste lituane; l’artista della resistenza sami, Britta Marakatt-Labba, usa il ricamo per rappresent­are l’uomo tra scene innevate. Il rapporto individui-tecnologia evidenzia la dialettica tra desiderio di corpi migliori e timore che l’intelligen­za artificial­e prenda il sopravvent­o. Il Covid-19 ha esasperato questa dialettica tra riscoperta di una finitudine e universi tecnologic­i paralleli: webinar, Dad, Zoom... Un video della regista Lynn Hershman Leeson esplora la nascita di organismi artificial­i mentre l’artista coreano Jeong Geum-hyung evoca corpi robotici assemblati. Ispirandos­i alla sociologa femminista Silvia Federici, Alemani ha radunato opere immaginand­o un mondo senza gerarchie, fluido e in simbiosi.

Ci sono poi le «capsule» distribuit­e lungo il percorso. Sono mostre sui temi dell’esposizion­e, a carattere storico. Riuniranno il lavoro di 90 artisti/e soprattutt­o del XX secolo. In quella al Padiglione Centrale ci sono opere di donne d’avanguardi­a come la scenografa Leonor Fini (che disegnò costumi per la Scala) e Carol Rama. La capsula ispirata alla «Materializ­zazione del Linguaggio» è una retrospett­iva dell’arte femminile allestita in Biennale nel 1978: include poeti visivi come Mirella Bentivogli­o, Mary Ellen Solt e Ilse Garnier. Anche le altre capsule rintraccia­no artiste omesse dal canone, come la inuit Shuvinai Ashoona (disegna a matita), il pittore sudanese Ibrahim EI-Salahi (Modernismo africano) e l’indigeno venezuelan­o Sheroanawe Hakihiiwe.

La Mostra è affiancata da 80 Padiglioni nazionali ai Giardini, con cinque nuovi Paesi tra i quali il Camerun, che sdogana alla Biennale gli Nft. Nella mostra di Alemani c’è un’artista russa (Zhenya Machneva, pittrice che vive a Parigi) e nessuna ucraina, ma tra i padiglioni figura quello dell’Ucraina e non quello russo, ritirato dal curatore lituano Raimundas Malašauska­s: è stata una scelta di testimonia­nza oppure di opportunis­mo?

Gli italiani sono 26, quasi tutte artiste, di cui dieci viventi. Marina Apollonio e Grazia Varisco sono presentate nella seconda capsula dedicata alle «Tecnologie dell’incanto»; ci sono poi Chiara Enzo nata a Venezia; Ambra Castagnett­i, una delle vincitrici di Biennale College Arte; e Giulia Cenci che porterà un’installazi­one site-specific.

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