Corriere della Sera - La Lettura
Se il dottore èun criminale tutti siamo dottori criminali
Il commissario Bärlach scorge un’allarmante somiglianza tra un celebre medico e il chirurgo sadico di un Lager nazista. La sua indagine lo porterà quindi a interrogarsi soprattutto sulla verità e sull’indole dell’uomo. Nel «Sospetto» c’è il meglio delle
Tra tutte le fatiche di Ercole il commissario Bärlach racconta di preferire quella in cui il figlio di Zeus è costretto a ripulire le stalle del re Augia dallo sterco dei suoi innumerevoli cavalli. Questo spunto, a dir poco geniale, ci dice già molto del romanzo di Friedrich Dürrenmatt e del protagonista, Hans Bärlach, che vorrebbe depurare la propria mente da un sospetto che non può essere semplicemente rimosso. Il sospetto che il dottor Emmenberger sia in realtà il dottor Nehle, cioè il medico delle SS che nel campo di sterminio di Stutthof aveva messo a punto una delle forme di tortura più empie che possano immaginarsi: operare i pazienti senza anestesia.
Liberare la propria mente da tale ipotesi di realtà o liberare il mondo intero da un efferato criminale a piede libero è la prova che Bärlach si ritrova, come Ercole, a dover superare da solo. Il commissario è solo perché ormai è giunta l’ora del pensionamento dalle forze di polizia e ancora più solo dopo che gli è stata diagnosticata una malattia che non gli lascerà granché da vivere. Eppure questa condizione di solitudine ci sembra ideale per la prova che lo aspetta, perché per lui si tratta di affrontare il male assoluto, «quel Tartaro» affiorato alla luce in un Lager nei pressi di Danzica. Come ideale è la circostanza fortuita che induce il commissario a sospettare. Trovandosi ricoverato in ospedale e sfogliando per caso una rivista, Bärlach si imbatte in una foto che ritrae una versione aggiornata di La lezione di anatomia del dottor Tulp.
Accanto all’impassibile chirurgo con i ferri del mestiere, il posto del cadavere nel dipinto di Rembrandt ora è preso da un prigioniero del Lager, sveglio e cosciente. Un lampo di somiglianza tra due volti e la realtà è messa in dubbio.
«Un poliziotto ha il dovere di mettere in dubbio la realtà» e così fa il commissario Bärlach, confinato nella stanza dell’ospedale, mentre gli altri entrano ed escono come personaggi su un palcoscenico, persino dalle porte del sogno come l’ebreo Gulliver che è stato in tutti i campi di concentramento e ora conosce ogni cosa. Il commissario Bärlach è il primo a essere incalzato dalle domande che gli risuonano dentro. E dunque, il dottor Emmenberger, il rispettato primario della clinica di Sonnenstein, quello che i colleghi chiamano «il nababbo» per le sue fortune professionali, è in realtà il dottor
Nehle, lo stesso carnefice di cui si intravedono gli occhi sopra la mascherina chirurgica in quella foto mostruosa? È proprio lui che ha confuso le tracce di sé con un abile scambio di identità tra Cile e Germania? È ancora lui che ha falsificato i segni del riconoscimento? Se esiste un Nehle nascosto nel mondo, il mostro, allora esiste un Emmenberger nascosto dal mondo, il direttore di una tra le cliniche più costose della Svizzera. Il commissario sa che per prenderne uno deve prenderli entrambi e per riuscirci è pronto a farsi trasferire in un’altra stanza d’ospedale, ben più vicino alla bocca del leone, anzi tra le sue fauci, a Sonnenstein.
Come tutti i capolavori di Dürrenmatt che Adelphi sta riproponendo —– questo nella nuova traduzione di Margherita Belardetti «lucida e attenta» come il pensiero del commissario — anche Il sospetto (1953) è in ugual misura sia uno dei tanti capitoli di un libro filosofico più ampio, sia una singola storia compatta. Il commissario Bärlach, ad esempio, compare già in Il giudice e il suo boia (1952) e di fatto ricomparirà qualche anno dopo in La promessa (1959), nella figura del commissario Matthäi che, arrivato al giorno della pensione, decide di indagare da solo su un maniaco assassino di bambine. Come gli altri, nemmeno Il sospetto è un romanzo rassicurante, certo, ma salutare sì. È un antidoto, per quanto amarissimo, contro la rimozione del male. Il rovello del commissario è il segno di una coscienza che ancora esiste, a differenza di quella dei «mostri» che escono di scena senza alcuna possibilità di pentimento o redenzione, spesso con una capsula di cianuro schiacciata tra i denti, «a stomaco vuoto», perché l’effetto così è immediato. E quella coscienza si agita sempre perché sa che gli incubi infernali dei campi di concentramento possono «ripresentarsi altrove come una lebbra, con altri torturatori e altri sistemi politici, riemergendo dagli abissi dell’istinto umano».
Ritoccando il sottotitolo di La promessa, cioè Requiem per il romanzo giallo, potremmo idealmente sottotitolare Il sospetto con «Requiem per il romanzo sul doppio». A ben vedere infatti è inutile scrivere un romanzo sull’esplicito tema del doppio perché ogni romanzo è già di per sé un romanzo sul doppio, considerato che ogni essere umano, come Emmenberger con Nehle, ne ha uno. «Tutti gli uomini sono uguali. Nehle era un uomo. Dunque Nehle era come tutti gli uomini. È un sillogismo crudele, ma nessuno può farci niente». E se a taluni questo sillogismo non torna, pazienza. Almeno finché ci saranno un Ercole, un commissario Bärlach o scrittori come Dürrenmatt disposti a ripulire le stalle di Augia.